Aver coltivato rapporti privilegiati con certi gruppi fondamentalisti e terroristi, cominciando da quelli legati al radicalismo islamico, non è stato certamente un affare per l'Occidente ed in particolare per la loro potenza guida, gli Stati Uniti: gli attentati alle Torri Gemelle del 1993 e del 2001 (quest'ultimo preceduto da un attacco suicida ad una nave militare americana solo pochi mesi prima), ne restano ad oggi una delle più illustri e convincenti testimonianze. Ma oltre a quegli attacchi dovremmo ricordarci quelli avvenuti negli anni successivi a Londra o a Madrid, e successivamente in altre città europee, dalla Francia al Belgio, dalla Germania alla Spagna, e così via. A motivarli, il clima internazionale (e quindi anche religioso, politico ed ideologico) che si faceva di volta in volta acceso per varie ragioni, legate quando all'invasione dell'Iraq, quando alle primavere arabe e quindi alla guerra civile in Siria, ecc. E' però anche noto come, a fornire la manovalanza terrorista e fondamentalista sia sul terreno di quei conflitti sia in seno alle stesse società occidentali fossero persone provenienti da più parti del mondo: potevano essere arabi, turchi, balcanici, caucasici, asiatici, e persino occidentali, convertitisi ad un certo punto delle loro vite all'Islam più radicale come modo per rinnegare anche la loro cultura di appartenenza, di cui non si erano mai davvero pienamente sentiti parte o da cui addirittura si erano sentiti, a torto o a ragione, addirittura rifiutati.
Questa grave crisi culturale ha messo così a nudo la fragilità dei valori e dell'identità dell'Occidente. Non era fallito soltanto, almeno in parte, il modello d'integrazione e di assimilazione di molte persone che negli anni precedenti vi erano migrate per vivervi, ma che contro ogni aspettativa si erano poi allontanate da quella loro patria d'adozione per cercarsene magari un'altra in un tanto mitizzato "Califfato"; tale modello, infatti, era fallito anche coi loro figli e le loro figlie, che magari erano nati qui e che, almeno per una buona parte della loro vita, erano sembrati dei perfetti "figli dell'Occidente", salvo poi invece rinnegare ancor più visceralmente il loro paese adottivo per cercare proprio in un'altra realtà, uno Stato dell'Islam radicale, la loro "terra promessa". Si passava, insomma, dalla "patria d'adozione" alla "patria d'elezione", fornendo a quest'ultima consensi e manovalanza, sia propagandistica che volontaristica, e non ultimo anche militare. Non si sentivano tedeschi, francesi, italiani, europei; ma, al tempo stesso, non si sentivano neanche appartenenti a paesi che mai avevano visto, non essendovi neppure nati. La fuga in una realtà immaginaria, e profondamente radicalizzata, diventava a quel punto un'immediata conseguenza di tutta questa confusione identitaria.
Ciò, ovviamente, ha provocato danni a non finire non soltanto in Europa e più estesamente in tutto l'Occidente, o nei paesi che nelle intenzioni occidentali dovevano essere destinatari di quel tipo di violenza (Libia, Siria, nazioni dell'Africa subsahariana o dell'Asia centrale, ecc), ma anche in altri che erano semplicemente "terzi" ma che pure ospitavano al loro interno forti comunità islamiche dove alcuni suoi appartenenti erano inevitabilmente soggetti al richiamo del fondamentalismo (dall'India alle Filippine, fino a tutto il resto del Sud Est Asiatico, cominciando soprattutto da quei paesi dove l'Islam è maggioranza, sebbene con una tradizione ben differente da quella wahabita o salafita in cui si riconoscono gruppi terroristici come al-Qaeda o ISIS, ovvero l'Indonesia, la Malaysia, ecc). Tutti hanno pagato un ingente prezzo, in termini di propri cittadini arruolatisi per questo genere di "guerra santa" che in realtà di santo aveva ben poco, o di attentati avvenuti nel loro stesso territorio. In tutto questo vasto contesto anche la Cina, con una vasta ed importante comunità musulmana, ha pagato un prezzo molto salato, e continua a pagarlo, al pari di altre nazioni come la Russia e tutte quelle che, soprattutto nell'Asia Centrale e nel Caucaso, componevano l'ex Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche.
E' a dir poco curioso notare come coloro che in Occidente, sull'onda degli attentati dell'11 Settembre 2001, erano diventati sempre più "islamofobi" trasformandosi in "odiatori seriali" di tutto ciò che rappresentasse l'Islam, cominciando dalle comunità musulmane nel loro paese o da certi paesi arabi o mediorientali che hanno determinati regimi anziché altri, diventino però improvvisamente molto comprensivi e persino disposti a vestire i panni di "difensori del mondo musulmano", persino ad impugnare ben più che simbolicamente "la spada dell'Islam", quando si parli di gruppi musulmani situati in certe precise realtà del mondo. E questo lo fanno semplicemente perché, in quel caso, le loro élites politiche e culturali di riferimento, in Occidente, considerano magari "nemico" l'Islam sciita dell'Iran o di Hezbollah, e in maniera già meno temibile quello sunnita wahabita delle petromonarchie arabe del Golfo, ma non i gruppi terroristi, fondamentalisti o separatisti che agiscono nella Cecenia russa (ma magari sono prontissimi a definire pericolosi i loro "confratelli" che a pochi chilometri agiscono fra Armenia ed Azerbaigian), o nello Xinjiang cinese. In ogni caso, comunque, spicca sempre quella che dev'essere considerata come una singolare particolarità: non si riesca mai a fare distinzione fra un gruppo fondamentalista e terrorista, numericamente e percentualmente pur sempre ristretto, ed una più vasta comunità musulmana locale, da cui quel gruppo vorrebbe trarre proseliti e di cui vorrebbe mettersi a capo per scatenarlo contro le autorità del suo paese, ma che in realtà non ne condivide i principi e la visione dell'Islam.
E' per questo se poi "tutti" i ceceni diventano automaticamente musulmani braccati dalla "dittatura di Putin", o se "tutti" gli uiguri diventano automaticamente musulmani oppressi dal "regime del Partito Comunista Cinese". Se ci ricordiamo bene, negli Anni Novanta avvenne lo stesso identico copione anche con la Jugoslavia: anzi, in quel caso i nostri gruppi politici e mediatici agirono persino con maggiore opportunismo e disinvoltura, come ben dimostrato soprattutto nel caso della Guerra del Kosovo, del 1999. Nel giro di pochi giorni un gruppo come l'UCK kosovaro, che gli Stati Uniti per primi bollavano come terrorista, diventò un povero oppresso che bisognava salvare a tutti i costi dalla tirannide "veterocomunista, nazionalista ed ortodossa" del "regime di Milosevic". Bisognava, insomma, proseguire il lavoro di frammentazione di quel poco che restava della Jugoslavia, dato che gli Accordi di Dayton del 1995 non avevano dato tutti gli esiti sperati, a cominciare proprio dalla progressiva "neutralizzazione" della Serbia che nei fatti non era ancora avvenuta. E così ci si attaccò a quel pretesto, e sappiamo benissimo che la famosa "orchestrina" politica e mediatica di casa nostra seppe muoversi molto bene, nell'imbonire il proprio pubblico ed elettorato.
Questa è, in essenza, la dinamica ogni volta adottata. Va da sé, però, che le ambiguità (presentare una particolare identità religiosa come "amica" o "nemica" a seconda dei propri interessi e di schemi di alleanze e di rivalità politiche internazionali che hanno ben altre motivazioni rispetto a quelle strettamente religiose, essendo semmai di tipo economico, tecnologico, ecc) finiscano sempre, ogni volta ed immancabilmente, per ritorcersi contro chi le pensa e le porta avanti. Nella prossima puntata dedicheremo a tal proposito altri ed ulteriori esempi.