Da circa un anno un po' in tutto l'Occidente si assiste su vari media di settore, in particolare in quelli che nello specifico si occupano proprio di questioni cinesi, ad una rinnovata attenzione per la Mongolia Interna. Dopo lo Xyzang-Tibet e lo Xinjiang, è dunque quest'altra regione autonoma della Cina Popolare a destare l'interesse degli osservatori occidentali, non soltanto ricercatori e giornalisti, ma anche e soprattutto politici ed attivisti. Quasi sempre questa pratica dell'abbinare la Cina ai diritti umani, per molti di costoro, è legata soprattutto ad interessi personali: ne hanno ormai fatto un mestiere.
Una domanda che molti nostri lettori si potrebbero fare è: come mai si sta iniziando a parlare della Mongolia Interna? Probabilmente anche questa è farina del sacco dell'ormai passata Amministrazione Trump, che mirava a portare avanti un approccio aggressivo nei confronti della Cina anche ricorrendo a nuove e sempre più intense campagne politiche e mediatiche basate sul rispetto dei diritti umani e tese ad infangare l'immagine di Pechino nel mondo e soprattutto sul pubblico occidentale, quello maggiormente influenzato dagli Stati Uniti e dai suoi media e residente in quella parte di pianeta su cui il predominio statunitense può tuttora continuare a ritenersi se non indiscusso certamente molto solido. Tuttavia, il fatto che oggi negli Stati Uniti ci sia un'altra Amministrazione, quella di Biden, non ha comportato significative variazioni, anche perché per stessa ammissione del nuovo Presidente e del suo entourage la Cina continua pur sempre ad essere identificata come il nemico principale degli Stati Uniti, contro cui portare avanti una politica sostanzialmente non molto diversa da quella del predecessore tanto in fatto di toni quanto di contenuti. D'altra parte, anche la politica di Trump non era poi stata molto diversa da quella del suo predecessore Obama, e così via. Ogni Amministrazione USA, nel corso del tempo, ha semplicemente cercato di portare avanti le medesime strategie, ricorrendo di volta in volta a qualche necessario aggiustamento tattico. Ecco perché la farina del sacco di Trump è andata benissimo anche per il sacco di Biden.
Un'altra domanda: quale sarà il ruolo dell'Italia in tutto ciò? Come per i casi precedenti, ovvero lo Xyzang-Tibet e lo Xinjiang, il ruolo italiano si sostanzierà in termini mediatici con qualche articolo e servizio televisivo dove sentiremo parlare anche della Mongolia Interna, andando ad infittire quindi la lista di quelli già visti finora, e in termini politici con nuove iniziative di varie personalità politiche italiane che, indipendentemente dal livello della loro importanza, sfrutteranno questo nuovo argomento per portare avanti un certo attivismo anticinese che già attuano sempre sugli altri temi poc'anzi menzionati. Anche la manipolazione mediatica intorno alla questione del Covid, come sappiamo bene, è stata accuratamente e copiosamente sfruttata da tutti costoro, e senza dubbio è servita ad ottenere una maggiore visibilità ed un ruolo riconosciuto a livello pubblico come "alfieri" della nuova crociata anticinese. Non va dimenticato, nel caso delle figure e dei gruppi politici, anche il loro attivismo al di fuori dell'Italia, visto che non sono certo pochi i nostri europarlamentari che a Bruxelles e nelle sedi comunitarie si distinguono insieme ai loro omologhi di altri paesi UE, con cui fanno sodalizio, nel portare avanti continue campagne anticinesi a suon di mozioni, interrogazioni, discorsi, interviste e via dicendo. Tale lavoro, d'altronde, si mescola non soltanto a quello dei media, ma anche a quello delle tante associazioni umanitarie, ONG e non solo, che operano sugli stessi temi e con le medesime finalità.
Tutto questo insieme di attività mira, chiaramente, a sabotare i rapporti fra Cina ed Europa assecondando l'interesse degli Stati Uniti, che ritengono di poter mantenere la propria influenza sul Continente Europeo solo a patto di tenerlo il più possibilmente scollegato da altri grandi competitori globali come Cina e Russia in termini di rapporti politici, economici e commerciali. La demonizzazione del progetto della Nuova Via della Seta rientra dunque perfettamente all'interno di tale strategia e quindi anche tutte le campagne politiche e mediatiche che nel corso degli ultimi due anni abbiamo visto intorno alla questione del Covid miravano anche e soprattutto a questo. Politici, giornalisti ed attivisti, attraverso le loro pressioni, sanno di fare questo e sanno anche che farlo rappresenta al contempo la difesa dei loro interessi sociali e personali ormai acquisiti e da tutelare a tutti i costi dal venir meno di quello "status quo" che li ha favoriti e che ne permette la sopravvivenza.
La demonizzazione del progetto della Nuova Via della Seta, del resto, non può non scindersi da altre questioni come quella dello Xinjiang e della Mongolia Interna, perché attraverso quelle due regioni autonome la Cina continentale commercia col resto dell'area euroasiatica: dallo Xinjiang attraverso l'Asia Centrale verso le direttrici centrali e meridionali, che permettono anche il successivo ed eventuale raggiungimento dei porti sull'Oceano Indiano; e dalla Mongolia Interna attraverso le direttrici settentrionali che percorrono la Siberia e tutta la Russia giungendo nel Mediterraneo e in Europa. Sempre per lo stesso motivo, la demonizzazione di questo progetto non può scindersi nemmeno da altre questioni come quella di Hong Kong e di Taipei-Taiwan, perché coinvolgono direttamente le rotte marittime con la Cina attraverso l'Oceano Pacifico, verso il Sud Est Asiatico, le Americhe, l'Oceania, l'Africa e il Medio Oriente. Dunque, per i vari gruppi di potere filoamericani o di matrice comunque atlantista si tratta di una posta in gioco troppo preziosa per potersi permettere dimenticanze o passi falsi.
Esattamente com'è già avvenuto col copione dello Xyzang-Tibet e dello Xinjiang, poi, non va dimenticato l'aspetto dei richiedenti asilo; ma più in generale tale aspetto non va dimenticato mai quando parliamo di campagne politiche e mediatiche contro Pechino basate sulla questione dei diritti umani. Negli ultimi anni l'Italia ha ricevuto un discreto numero di richieste di asilo politico per ragioni umanitarie da persone che lamentavano di essere state oggetto di persecuzioni per la loro appartenenza etnica o religiosa in Cina, musulmani uiguri o adepti della Chiesa di Dio Onnipotente che fossero, e così via. Il numero di coloro che hanno presentato tale richiesta è stato inferiore alla media degli altri paesi europei, e lo stesso vale per il numero di quelle che sono state accolte, ma col clima politico che si è venuto a creare in questi ultimi tempi è possibile che anche le istituzioni italiane possano cominciare ad aumentare il numero di domande accettate facendo del nostro paese una realtà più "attraente" ed "affidabile" agli occhi di molti futuri aspiranti richiedenti asilo. Il comportamento di molti magistrati e funzionari, sollecitato dalla montante campagna anticinese, può cominciare dunque a farsi un po' più indulgente verso richiedenti asilo che solitamente basano la loro domanda su vicende ben costruite ad arte dalle varie ONG e realtà associative. Ciò, d'altronde, già avviene con maggior facilità nel caso di molti altri richiedenti asilo di altre nazionalità, giunti in Italia da altre realtà geografiche e con alle proprie spalle situazioni non proprio così corrispondenti a quelle che insieme ai loro assistenti descrivono.