Probabilmente i più giovani ignoreranno di cosa si stia parlando, ma forse chi ha qualche anno in più ricorderà di quando, più di trent'anni fa, in un'Europa ancora divisa fra Est ed Ovest, molti media occidentali denunciavano la politica di "sistematizzazione" dei villaggi e delle aree rurali nei paesi a quel tempo guidati da governi di stampo sovietico. Era soprattutto la Romania, allora guidata da Nicolae Ceausescu, la più criticata in materia di "sistematizzazione", con racconti che riecheggiavano il periodo staliniano nell'URSS e che poi, dopo il famoso 1989, si scoprirono essere quasi del tutto fittizi.
Sostanzialmente la "sistematizzazione" era un vasto piano di riqualifica delle aree rurali, teso non soltanto ad aumentane la produttività ma anche le condizioni abitative, così come la distribuzione demografica in modo da renderla più bilanciata sul territorio nazionale in rapporto anche al livello di resa agricola dei vari terreni. Si trattava, in sostanza, di favorire le condizioni di vita dei coltivatori creando migliori insediamenti abitativi, oltre a scuole, ambulatori e spazi ricreativi, ma anche di favorirne l'insediamento nelle aree che avrebbero garantito una migliore produttività agricola e zootecnica, condizione importantissima anche per ottenere una maggiore produzione alimentare con un minor costo sia economico che umano, e relativo profitto per tutta la comunità.
Tutto ciò, però, nel cosiddetto "mondo libero" a guida statunitense, veniva dipinto come un insieme di veri e propri orrori contro la natura e i diritti umani. Non a caso si andavano a citare i precedenti dell'epoca staliniana e in parte anche post-staliniana nell'URSS, per far passare l'idea nel pubblico occidentale che anche le successive leadership nel frattempo affermatesi pure negli altri paesi dell'Europa Orientale non si comportassero tanto diversamente. Così, nel caso della Romania, la "sistematizzazione" divenne uno dei principali capi d'accusa sfruttato a scopo diffamatorio, che tuttavia quasi "miracolosamente" scomparve nel nulla dopo che nel 1989 era stato ottenuto l'obiettivo desiderato: ovvero, la caduta di quel regime esattamente come del resto erano caduti anche tutti gli altri suoi regimi "fratelli" nel resto dell'Europa Orientale.
Chi visitò la Romania in quei giorni e anche nei giorni successivi, potè facilmente dimostrare come non soltanto non fosse vera la balla della "sistematizzazione", ma neppure quella di una spontanea rivoluzione popolare che aveva tanto romanticamente quanto sanguinosamente aveva detronizzato gli odiati coniugi Ceausescu insieme al loro governo. Tuttavia, non venne granché ascoltato, perché sovrastato da una mole di notizie e ricostruzioni che andavano in tutt'altro senso e che venivano strombazzate da molti più canali e con molta più potenza di fuoco politica e mediatica. Solo anni dopo si cominciò ad ammettere, un po' per volta, che tutto sommato quella del dicembre 1989 era stata solo una "rivoluzione colorata", probabilmente la prima o una delle prime della storia, il cui successo avrebbe poi indotto a ripeterne sostanzialmente lo schema anche in altri paesi negli anni successivi, dalla Serbia nel 2000 all'Ucraina, il Libano e il Kirghizistan anni dopo, fino alle Primavere Arabe e di nuovo l'Ucraina, nonché la Bielorussia, oltre a Venezuela, Bolivia, ecc. Alcune, come sappiamo, ben riuscite, altre, invece, fallite.
Ma, quando uno schema è risultato "buono alla prima", giustamente se ne fa tesoro e prima o poi si torna a riutilizzarlo. E' stato così, per l'appunto, con le "rivoluzioni colorate" di tanto in tanto riproposte e riattuate, ma anche con le "invenzioni mediatiche" che sono risultate così convincenti da indurre prima o poi qualcuno a ripeterle semplicemente adattandole alla nuova epoca e al nuovo paese di cui si sta parlando.
Ecco che allora la "sistematizzazione", chiamata con termini nuovi, è riaffiorata anni fa nel caso del Vietnam e in Laos, citata da intellettuali e politici italiani che parlavano di un suo utilizzo a danno delle minoranze cristiane locali, ed immancabilmente anche nel caso della Cina, dove ugualmente la si è voluta collegare a persecuzioni religiose contro altre minoranze etniche e religiose, o più estesamente contro tutti i gruppi religiosi minoritari in sé, indipendentemente dall'appartenenza etnica dei loro membri.
Nel caso della Cina, l'indice viene puntato sulla cosiddetta "Politica del Bel Villaggio", descritta dai più solerti media anticinesi ed ultraconservatori occidentali come una vera e propria distruzione dell'ambiente naturale e delle libertà delle popolazioni coinvolte. Attuata con progetti pilota a partire dal 2013 e successivamente adottata su scala nazionale nel 2015, la Politica del Bel Villaggio in realtà è tutt'altro che quella barbarie raccontata dai media dell'ultradestra americana e non solo, ed infatti ha svolto un ruolo importantissimo nel definitivo superamento della povertà estrema ottenuto dalla Cina proprio nel corso di quest'anno.
Nel caso cinese, poi, inevitabilmente oltre all'accostamento con quanto a suo tempo raccontato sulla "sistematizzazione" romena si attua anche quello coi "Grandi Balzi in Avanti" promossi dal Presidente Mao negli Anni '50, e che non diedero tutti i risultati sperati. Tant'è che nella stessa Cina, e non certo da oggi, vengono giudicati dalle stesse autorità come errori che non è giusto ripetere.
Pur di "rigirare la frittata", i media ultraconservatori giungono così ad affermare che anche il restauro dei beni storici ed archeologici locali, insieme a quelli religiosi, nasconderebbe il più subdolo obiettivo di snaturare e nazionalizzare la cultura locale, all'insegna di un comunismo estremo, cosa che del resto hanno detto anche in merito al completo sradicamento della povertà estrema. Ciò a cui mirano queste invettive mediatiche, è facile a capirsi, è di far breccia su un pubblico occidentale vastamente impreparato su questi argomenti e al quale può quindi essere raccontato un po' tutto quel che si vuole, tanto in buona fede sarà disposto a bersi qualunque balla.
Tutto scaturisce da un documento emesso lo scorso febbraio di quest'anno dal Ministero dell'Agricoltura cinese, dove si descrivono proprio i criteri della Politica del Bel Villaggio, che ovviamente i media ultraconservatori di area atlantica prontamente mirano a distorcere e far travisare.
Ecco che allora può apparire quasi un delitto se il "povero contadino cinese" non si ritrova più a vivere in un'abitazione che nessuno di questi soloni occidentali vorrebbe mai abitare anche solo per mezz'ora, ma finalmente in una nuova o rinnovata abitazione dotata di servizi e certamente più decorosa e dignitosa. Oppure diventa un delitto se i "poveri abitanti delle zone di montagne" anziché dover vivere in condizioni estreme per varcare un'altura possono ora contare su una strada o un percorso un po' più agevole e sicuro per le loro attività quotidiane. E, infine, diventa un delitto se le tante sette religiose, così care a tutti questi soloni, non possono liberamente svolgere le loro "funzioni", dalla manipolazione delle menti delle persone al loro sfruttamento economico, fino a vere e proprie attività contro lo Stato e l'incolumità di altri cittadini.
Che sarà mai? Forse, per costoro, anche restare poveri è un diritto, ma solo per gli altri: loro, di questo "diritto", se ne privano volentieri. Così come dell'analogo "diritto" a non potersi sentire sicuri nel proprio paese, a causa dell'operato di gruppi settari che non di rado non esitano a darsi a vere e proprie attività criminali.