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Vienna, un apposito evento tutto per la "causa uigura"

2023-09-20 17:00

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Vienna, un apposito evento tutto per la "causa uigura"

Sebbene l'interesse raccolto dalla “causa uigura” sia ad oggi ai minimi termini, e più avanti ne spiegheremo le ragioni, i loro sostenitori comunque n

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Sebbene l'interesse raccolto dalla “causa uigura” sia ad oggi ai minimi termini, e più avanti ne spiegheremo le ragioni, i loro sostenitori comunque non demordono dal continuare a perorarla, facendo del loro meglio per non vedersi intaccare dei fondi economici e degli spazi di visibilità che indubbiamente negli anni sono andati ormai sempre più assottigliandosi. Ne abbiamo avuto prova col quarto evento dal titolo “Campagna per gli Uiguri” (CfU), che dopo le edizioni di Tokyo, Adelaide ed Ankara s'è stavolta tenuto a Vienna, “gratificando” così con la sua presenza anche il Vecchio Continente.

 

A tenere l'evento, così come a parteciparvi, soprattutto molti giovani attivisti, uiguri o dichiarati tali, oltre ad attivisti di varie associazioni per i diritti umani che sempre si punta con questi eventi a trascinare nella propria causa, ed infine uno stuolo di altrettanti giovani studenti su cui si vorrebbero sortire i medesimi effetti. Insomma, tutto un pubblico che viene individuato come un promettente serbatoio da cui attingere possibili nuovi sostenitori, così da poter ottenere poi grossi numeri. Si sa, è marketing: senza i grossi numeri, non ci si fa notare e soprattutto diventa poi molto difficile continuare a spiegare il perché del dover continuare ancora a ricevere gli stessi corposi finanziamenti del passato; e poi media e politica, se non c'è una bella massa di partecipanti, dopo un po' si scocciano e se ne vanno. 

 

Tuttavia, malgrado l'ampio sforzo organizzativo da parte del gruppo capitanato da Rushan Abbas', ben pochi cittadini austriaci e tedeschi erano effettivamente presenti, a sottolineare come la “causa uigura” ormai abbia anch'essa stancato e nessuno la segua più, se mai prima l'aveva davvero seguita. E' normale: certe cause umanitarie, sempre gonfiate ad arte ai fini di condurre una delegittimazione politica di questo o quel paese, non sono mai davvero riuscite ad uscire dalla nicchia, e questo indipendentemente dalla fortissima pressione mediatica e pubblicitaria che spesso è stata loro impressa. Ai comuni cittadini, la sera, il programma in TV che parla di presunti scempi umanitari nello Xinjiang interessa poco per non dir nulla, e ben pochi di loro lo seguono preferendo saggiamente guardarsi qualcos'altro di più intrattenitivo per un orario da dopocena e da dopolavoro; ed anche gli articoli che ne parlano su qualche giornale non riscuotono proprio un grande interesse, per di più su giornali che, per quanto importanti, sono oggi in caduta libera per vendite e consenso dei lettori. 

 

Fatto sta che anche la “causa uigura”, per quanto sventolata nel corso degli anni, non ha mai davvero sfondato in Europa, esattamente come altre cause sinofobe come quella a favore del Falun Gong o, ancora, della Chiesa di Dio Onnipotente: quest'ultima, poi, pressoché scomparsa dai radar non appena si è smesso di ricordarne l'esistenza. Probabilmente i sostenitori della “causa uigura” temono di far la stessa fine, e di doversi inventare a quel punto qualche altra nuova “scusa umanitaria” per dover sopravvivere. Non hanno tutti i torti: gli unici loro colleghi che finora abbiano davvero avuto una duratura e persino plurigenerazionale fortuna, sempre parlando di cause anticinesi, sono i sostenitori del Dalai Lama e del suo governo in esilio a Darahmsala, in India, insomma, i sostenitori della secessione dello Xyzang-Tibet dal resto della Cina. Ma in quel caso vi è una figura pompata per l'appunto da generazioni come quella del Dalai Lama, con un investimento plurimiliardario da parte di case cinematografiche hollywoodiane con fior di star amatissime dal pubblico, premi vari tra cui anche il Nobel, e insomma tutto un culto ormai con radici più che solide. Quanto ci scommettiamo, anche in quel caso, che quando l'attuale Dalai Lama verrà meno per ovvie questioni anagrafiche e verrà sostituito da un altro, magari di tutt'altro orientamento ed avviso in merito ai rapporti con Pechino, anche tutto quel culto dorato scemerà dall'oggi al domani come se nulla fosse? 

 

Insomma, l'evento dove parlare delle millantate persecuzioni agli uiguri nello Xinjiang, pur beneficiando dell'accorato impulso profuso da parte di tutti i suoi massimi esponenti, come il presidente del Congresso Mondiale Uiguro Dolkun Isa, o il marito di Rushan Abbas', il direttore del Centro Studi Uyguri Abdulhakim Idris, non ha sortito neanche stavolta i suoi auspicati effetti. Men che meno potevano contribuire ad invertirne la negativa tendenza i contributi di altri esponenti di Campagna per gli Uiguri, o la ricercatrice ebreo-statunitense Serena Oberstein, altra pasionaria attiva in molte cause care al Dipartimento di Stato e a tante lobby che lo influenzano, in quell'occasione presente nelle vesti dell'istituto Jewish World Watch (JWW). Fornire un punto di vista del “genocidio uiguro”, esistente solo nelle fantasie dei più esaltati anticinesi, dalla prospettiva dell'invece drammaticamente vero genocidio del popolo ebraico da parte dei nazisti, è un'operazione certamente assai rischiosa e perniciosa agli occhi di tantissimi altri ebrei e non. Ma in quel caso, a quanto pare, nessuno ha avuto nulla da ridire, cosa già di per sé piuttosto preoccupante. 

 

Anche gli interventi di altre figure, come la franco-uigura Diknur Reyhan, non sono stati comunque da sottovalutare: nel suo caso, per esempio, era su ambiente e femminismo, temi sempre molto cari all'agenda liberal, sia dei democratici americani che delle istituzioni europee, a cui oggi si mira a strizzare l'occhio: dopotutto i bei tempi in cui i massimi benefattori della “causa uigura” erano i repubblicani sovranisti alla Casa Bianca sono ormai sempre più un ricordo, e quindi nel frattempo bisogna pur inventarsi qualcosa di nuovo. Certo è che anche azzardare strani paragoni in salsa femminista che quasi rievocano l'ormai pressoché dimenticata “causa curda” non paiono ugualmente più di tanto convincenti. Non diversa Marine Mazel, sempre dalla Francia, che ugualmente doveva fare anch'essa la sua degna figura fornendone un punto di vista psichiatrico, ovvero sulle conseguenze di quelle misteriose persecuzioni, citando sia la “scuola austriaca” che diede vita alla psicanalisi con figure come Sigmund Freud, Viktor Frank e Bruno Bettelheim, che la filosofa tedesca Hannah Arendt. Si sa, in terra germanofona un omaggio alla cultura tedesca è sempre dovuto, e magari trova pure maggiori gradimenti in sala.

 

Ma ciò che forse ha davvero interessato di più gli organizzatori dell'evento, non fosse altro perché forniva loro qualche utile consiglio e forse anche qualche possibile nuova speranza per il futuro, l'intervento di Lou Ann Sabatier, fondatrice della Sabatier Counsulting, nota negli Stati Uniti per la sua lucrosa attività di consulenze d'immagine e di marketing. Parlavamo, proprio al principio dell'articolo, del marketing ed ecco che puntualmente ritorna di attualità: perché in definitiva il problema è tutto là. Hanno bisogno d'inventarsi il modo giusto per rinnovare le attenzioni intorno a sé, riscuotere nuovi successi in termini di seguito e d'immagine, e di conseguenza anche trovare la giustificazione a riscuotere successivamente nuovi fondi che siano paragonabili a quelli, intuibilmente ben più lauti, del passato. E' fin troppo chiaro: il problema è tutto là.


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