Proprio oggi verrà pubblicata la “Lettera al Popolo di Dio”, documento fortemente significativo nel percorso del Sinodo dei Vescovi avviato nel 2021 e, dal 4 ottobre di quest'anno, entrato in una delle sue fasi più delicate. La Lettera costituirà infatti una rappresentazione di quanto profondo sia stato il processo riformatore che in queste giornate ha riguardato il vasto mondo della Chiesa Cattolica e delle sue gerarchie. Come annunciato dal prefetto del Dicastero della Comunicazione e presidente della Commissione per l'Informazione Paolo Ruffini durante la successiva conferenza nella Sala Stampa vaticana, l'Assemblea avrebbe applaudito alla lettura della bozza, tenutasi lo scorso 23 ottobre. Dopo la presentazione della Lettera nel suo intero, sabato 28 ne seguirà il Documento di sintesi. Numerose le reazioni, molto positive ma anche molto insolite, riportate dall'agenzia Vatican News: piccole, infatti, sono state le modifiche e le integrazioni al testo, a suggerire che nel suo insieme il testo fosse già più che esaustivo per tutti i membri dell'Assemblea, rappresentandone quindi le varie richieste che già avevano avanzato. Abbiamo certamente una conferma circa quanto ipotizzato solo qualche giorno fa: il Sinodo, con gran paura di ultraconservatori ed ultratradizionalisti, ma anche di molti loro alleati “esterni” diffusi nei rami laici e religiosi più disparati, da fondazioni ad ONG, da sette e chiese evangeliche o pseudoprotestanti, e via dicendo, sta funzionando davvero, contravvenendo a tutti i loro auspici che ciò non avvenisse.
Non deve passare inosservata neppure la scelta dei religiosi che hanno inaugurato, preceduto ed accompagnato la giornata “spartiacque” del 23 ottobre. La messa eucaristica dall'altare della cattedra della Basilica Vaticana con cui ha avuto inizio la sessione era per esempio tenuta dal cardinale Charles Maung Bo, arcivescovo di Yangon in Myanmar. Successivamente la sedicesima Congregazione Generale, con 350 delegati e coordinata dal presidente delegato di turno don Giuseppe Bonfrate, ha visto alla presenza di Papa Francesco gli interventi degli assistenti spirituali, il padre domenicano Timothy Radcliffe e la madre benedettina Maria Ignazia Angelini, ed infine del teologo australiano don Ormond Rush. Dopo tutti questi passaggi, è finalmente avvenuta la presentazione e la discussione della “Lettera al Popolo di Dio”.
Il cardinale Charles Maung Bo, elevato a capo della sede metropolitana di Yangon da Giovanni Paolo II nel 2003, è una figura nota nel suo paese come in molta parte del Sud Est Asiatico e nel mondo cattolico, per l'elevata cultura e il grande impegno profuso nel dialogo tra diverse religioni e culture. Nel 2015 ha conosciuto una grande promozione sotto Papa Francesco, venendo elevato al Cardinalato oltre a diventar membro sia della Congregazione per gli Istituti di Vita Consacrata e le Società di Vita Apostolica che del Pontificio Consiglio della Cultura. A renderlo una figura d'indubbio carisma il forte sostegno al dialogo, in nome del superiore fine della riconciliazione sociale, tra le autorità politiche e le comunità cattoliche in Myanmar, dove in passato la loro convivenza non fu sempre delle più facili. Il suo lavoro conciliatorio passa anche attraverso il dialogo col Buddhismo, nettamente prevalente nel paese, e non vi sono dubbi che ciò operi in una giusta direzione considerando che, pure in occasione del Concistoro in cui venne insignito del Cardinalato, ad accompagnarlo vi fosse un monaco buddhista. Fin dal principio è stato un grande sostenitore dell'attuale Papa, a cui ha riconosciuto la forte volontà innovatrice, considerandola di vitale importanza: ricordando come la Chiesa e gli ambienti cattolici nel suo paese fossero fin troppo tradizionalisti ed ostili al cambiamento, Bo conveniva così sul fatto che solo un energico sforzo modernizzatore imposto dal centro, da Roma, potesse davvero cambiare le cose.
Non diversa la figura di padre Timothy Radcliffe, prolifico saggista in materia teologica e sociale, già docente di Sacra Scrittura ad Oxford, Padre provinciale d'Inghilterra dal 1987 ed infine Maestro Generale dell'Ordine Domenicano dal 1992 al 2001, è stato solito affrontare temi come l'etica, la giustizia sociale e le materie governative, arrivando anche ad avanzare anche delle aperture circa il matrimonio dei preti, col neologismo di “clericogamia”. Così pure la madre benedettina Maria Ignazia Angelini, dal 1996 al 2019 badessa l'Abbazia Benedettina di Viboldone (Milano), formatasi alla Facoltà teologica dell'Italia settentrionale sotto don Giovanni Moioli, che ha svolto un forte ruolo nell'incontro monastico anche a livello ecumenico, come ben espresso anche in numerose sue opere pubblicate. Infine il teologo australiano don Ormond Rush, professore associato all'Università Cattolica dell'Australia, impegnato in numerose materie dall'ermeneutica alla storia della teologia, dalla cristologia all'ecclesiologia, dalla teologia della scrittura a quella della storia, fino allo studio del dialogo tra la Chiesa ed il resto del mondo, si presenta ugualmente con un bagaglio culturale di tutto rispetto, oltre a dimostrare una profonda sensibilità per temi di natura pratica e sociale su cui l'attuale Sinodo ha inteso muoversi con passi, come abbiamo sin qui visto, assai decisi.
Il cardinale domenicano Christoph Schonborn, arcivescovo di Vienna e membro del Consiglio ordinario della Segreteria del Sinodo, altra figura indubbiamente nota per il suo grande impegno di rinnovamento della Chiesa, descrivendo anche le sue memorie relative al Concilio Vaticano II, quando aveva solo vent'anni, sostiene come tale percorso conduca ad una nuova Chiesa, in cui la sua natura gerarchica giunge al terzo posto dopo il mistero della Chiesa stessa e dopo il Popolo di Dio. Un concetto indubbiamente anch'esso molto teologico, ma che in un certo modo ci esprime come molti vecchi “tradizionalismi” siano stati messi da parte in favore di “riforme” che conducono ad una Chiesa in cui non è più soltanto l'Europa a giocare il ruolo principale, se non unico, ed in cui istanze e voci del resto del mondo vengono accolte e fatte finalmente proprie. Parlando ai microfoni, il cardinale ha testimoniato quanto abbia a cuore il riporre una maggiore attenzione all'America Latina, all'Africa e all'Asia, con le loro Conferenze Episcopali continentali, oltre alla gravità della poca attenzione del Cattolicesimo europeo nei confronti delle Chiese orientali. Ricordiamoci che la vecchia natura “eurocentrica” della Chiesa, riposta in istituzioni e modalità ormai superate dai tempi, aveva sfavorito il Cattolicesimo a vantaggio dei nuovi culti, delle sette e dei movimenti settari, sempre più cresciuti per importanza e numeri a spese della Chiesa Cattolica, i cui fedeli locali restavano intanto marginalizzati e vittime della loro aggressività.
Per il cardinale Aguiar Retes, arcivescovo di Ciudad del Mexico, tra i presidenti delegati dell'Assemblea e membro di nomina pontificia, ha ricordato come in occasione del Sinodo del 2012, tenuto sotto Papa Benedetto XVI, si riscontrò che la “trasmissione della fede” nel processo di “nuova evangelizzazione” risultava “fratturata”, con le famiglie che non erano più “capaci di rivolgersi alle nuove generazioni”. Per tale ragione il primo Sinodo convocato da Papa Francesco aveva riguardato le famiglie, mentre quello successivo del 2018 era stato rivolto ai giovani: era importante recuperare un contatto che altrimenti, se carente, avrebbe condotto le nuove generazioni al di fuori del “gregge”, in braccio ad esempio ai “nuovi culti”, sempre quelle sette e quei movimenti settari che non soltanto in Europa ma ancor più in Asia, Africa ed America Latina hanno proliferato e strappato fedeli alla Chiesa Cattolica per farne propri seguaci. Già per questo motivo Papa Benedetto XVI aveva condotto un'intensa opera di rinnovamento in America Latina, in una terra dove la natalità ed il ricambio generazionale sono ben più intensi che in Europa, ad esempio con la sua visita apostolica a Ciudad del Mexico.
Il cardinale Jean-Marc Aveline, arcivescovo di Marsiglia, presente al Sinodo come membro di nomina pontificia ed eletto nella Commissione per la Relazione di sintesi, s'è ancor più sbilanciato parlando di “Gioia per una nuova avventura, curiosità per l’incontro con persone provenienti da tutto il mondo, con le quali c’è stato un reciproco scambio di esperienze; ma anche preoccupazione per le notizie di guerra che giungevano qui a inizio lavori e che sono continuate con il passare dei giorni” ma anche ricordando che “nel mio Paese non tutti hanno aderito al processo sinodale e per questo esiste un margine di progresso”. Parole, nello sbilanciamento, comunque sempre misurate, ma che indicano come le refrattarietà e le ostilità frapposte dai settori più tradizionalisti e conservatori non siano state poche neppure in Francia, in un paese che del resto recita un ruolo di massima importanza nell'Europa sempre meno centrale nella Chiesa Cattolica oggi rinnovata. Nelle nostre tante e precedenti dissertazioni ci siamo spesso occupati anche di questo, e delle strane “alleanze trasversali” che tali settori hanno avviato con altri ancora, spesso estranei e persino ostili alla stessa Chiesa Cattolica, come ad esempio i “nuovi culti” o realtà ed operatori che ne sono contigui se non proprio dirette espressioni. Su questo mondo d'opacità dentro e fuori la Chiesa Cattolica sarà difficile apporre delle serie contromisure, ma ciò non ne renderà certo vano od immotivato il ricorso.
Anche per suor Samuela Maria Rigon, superiora generale delle suore della Santissima Madre Addolorata, docente alla Pontificia Università Gregoriana, che partecipa al Sinodo come membro di nomina pontificia, l'evento è stato “un'esperienza molto arricchente”, che ha permesso di “toccare con mano l'universalità della Chiesa”, ma anche “un invito all'umiltà; e il mio punto di vista è solo una finestra sull’orizzonte che può contribuire a costruire un mosaico bello”. Anche questa, indubbiamente, una forte sottolineatura delle pluralità e della molteplicità che la Chiesa nel suo nuovo cammino di trasformazione sta conducendo per integrare in sé quelle tante anime nel mondo che, pur da sempre sua parte, non sono mai state finora debitamente difese, curate e considerate.