Probabilmente per DAFOH, l'ONG che riunisce medici, legali ed attivisti nel far pressione sulle istituzioni e la politica occidentale in materia di violazioni dei diritti umani nel resto del mondo, ed in particolare sul prelievo forzato di organi da prigionieri e detenuti sotto regimi politici giudicati oppressivi e liberticidi, sono ormai già trascorsi gli anni migliori. In passato, vari parlamenti occidentali si erano mostrati ben contenti di dar loro udienza per ascoltarne i rapporti e votare, spesso a larga maggioranza se non persino all'unanimità, mozioni di condanna verso questo o quel paese che avevano indicato come estraneo ed ostile ai valori democratici dell'Occidente. Curiosamente, tutto il loro zelo si concentrava soprattutto su alcune nazioni piuttosto invise al “Washington consensus” e all'ordine unipolare a guida statunitense, al cui controllo da sempre sfuggono, come ad esempio la Cina.
Il Falun Gong, setta bandita in Cina e in altri paesi per le sue azioni eversive e contrarie alla salute pubblica ed individuale, ha sempre trovato un buon modo per farsi pubblicità in Occidente denunciando prelievi forzati di organi a danno dei suoi adepti detenuti in patria. Tale campagna politica ha trovato facili appoggi presso certi settori politici occidentali, che non hanno esitato a cavalcarla dandole così ulteriore incentivo e visibilità; e DAFOH, organizzazione vicina al Falun Gong ed intuibilmente assai ben retribuita da istituzioni ed apparati governativi occidentali, è stata in tutto ciò un'essenziale componente dell'intero meccanismo. In un certo senso, potremmo definire DAFOH un'organizzazione che miri a dare un'immagine medico-scientifica e legale alle cause portate avanti dal Falun Gong, così da puntellarle dando loro una maggior credibilità; inoltre, grazie alla sua più rassicurante immagine “istituzionale”, può recarsi in sedi pubbliche e governative per perorale strappando il consenso di parlamentari, gruppi politici, accademici ed operatori umanitari o del mondo dell'informazione.
Per qualche tempo il metodo ha funzionato abbastanza bene. Nel dicembre 2020, ad esempio, il personale di DAFOH aveva fatto una sua fruttuosa incursione presso il parlamento italiano, per la verità non l'unica, tenendo occupata per un'ora e mezzo la Commissione Esteri della Camera dei Deputati. Soltanto pochi giorni prima, nello stesso mese, al parlamento europeo vi era stata la presentazione di un'interrogazione da parte della leghista Mara Bizzotto, che al pari di altri aveva sposato con convinzione quanto sostenuto dai medici di DAFOH. Anche nel 2022, sempre con appoggi accademici e mediatici anche da parte italiana, ve ne era stata un'altra, riferita non soltanto al Falun Gong ma pure a presunte analoghe violenze sulle minoranze uygure, tibetane e cristiane: del resto, era il periodo in cui impazzavano anche altri temi caldi come lo Xinjiang o la Chiesa di Dio Onnipotente. Tuttavia l'attenzione è andata scemando. Come sappiamo, era ormai subentrato il Covid-19 a catturare maggiormente le attenzioni di quanti, nel mondo politico e religioso, da sempre si dedicano a portare avanti un'agenda in salsa sinofoba: anche lo stesso Falun Gong non si fece perdere l'occasione, cavalcando l'epidemia come meglio (o peggio) poteva, ben contento di sposare le peggiori teorie del complotto che infatti non tardarono a fondersi con quelle della tutt'altro che ormai implosa QAnon, oltre che ad alimentarle.
Ciò non significa che il tema del prelievo forzato di organi sia comunque venuto del tutto meno, anche perché soprattutto nei presidi organizzati periodicamente dalla setta nelle città italiane dov'è maggiormente attiva, come Roma, Milano o Firenze, i gazebo e manifesti con slogan che ne parlino sono una componente immancabile. Semplicemente non è comunque bastato ad arrestare il calo d'interesse per l'argomento, dapprima tanto sensazionale agli occhi di molti: l'opinione pubblica, oggi, sembra più diffidente verso certe sparate tanto grossolane, anche perché nel frattempo sulla Cina come su tanti altri paesi prima meno conosciuti è aumentata l'offerta d'informazione un po' più attendibile, sia da parte di nuovi media che attraverso i social. Così, tutto quello che prima si poteva facilmente raccontare e far passare per buono, oggi non trova più il medesimo ascolto e men che meno la medesima fiducia; e venendo meno il consenso dei cittadini, anche la politica tende a farsi a sua volta più accorta, preferendo glissare nel trattare simili temi su cui in passato si sarebbe invece gettata a capofitto. Resistono solo piccole nicchie più rumorose, non sempre poco influenti, ma comunque ben lontane dal poter essere maggioritarie. Ecco perché le apparizioni di DAFOH come di altri, presso i principali parlamenti occidentali, hanno iniziato a farsi sempre più diradate.
Non bastasse tutto ciò, sono cominciate pure a piovere le sentenze di condanna. Lo scorso 16 novembre, per esempio, il tribunale di San Pietroburgo ha classificato DAFOH insieme ad altre entità consimili come “indesiderabile” in tutto il territorio della Federazione Russa, aggiungendola ad un elenco che nel frattempo va ingrossandosi sempre di più, guarda caso composto tutto da organizzazioni religiose, politiche ed umanitarie legate a doppio filo con la politica anticinese ma anche antirussa di un certo Occidente. Per l'esattezza, la sentenza fa riferimento proprio ad una pubblicazione elettronica gestita da DAFOH per conto del Falun Gong, “Falun Dafa Information Center”, dedita ovviamente alla tematica del prelievo forzato di organo dagli adepti in detenzione. In precedenza anche l'Università Europea di San Pietroburgo era stata pizzicata in temi non tanto dissimili.