Come già raccontato in altre occasioni, l'ONG Dafoh (Doctors Against Forced Organ Harvesting) è sempre piuttosto attiva ogni qual volta si tratti d'accusare, ricorrendo a prove false poi puntualmente smentite da più fonti internazionali, una serie di paesi tra cui soprattutto la Repubblica Popolare Cinese. Il perché è presto detto: dietro alla presentabile ed in teoria inattacabile maschera di un'organizzazione a fini umanitari, Dafoh maschera in realtà ben altra natura, più precisamente quella di “megafono medico-politico" della setta cinese Falun Gong.
Questa setta, come i lettori sapranno, sorse in Cina al principio degli Anni ‘90, presentandosi come una delle tante scuole di pensiero che miravano all’evoluzione del tradizionale Qi Gong; e in quegli anni di grandi aperture economiche che connotavano il paese trovò una forte accoglienza da parte di una società sempre più vivace e curiosa di novità. Tutto andò abbastanza bene finché, soprattutto a metà degli Anni ‘90 ed ancor più al principio del nuovo secolo non emerse la sua reale natura, di “setta distruttiva” come la chiamerebbe anche l’esperto statunitense Rick Alan Ross che lungamente se n'è occupato. Cominciarono ad emergere notizie di gravi abusi psicologici e fisici sugli adepti o d'altrettanti gravi causi d'autolesionismo; nonché comportamenti antisociali e persino di stampo eversivo, da parte di singoli o più adepti. Fu soprattutto nel periodo tra il 1998 e il 2002 che il livello di pericolosità e di scontro con le istituzioni e le autorità raggiunse nel paese il massimo picco, per poi almeno in parte scemare a seguito del bando che a quel punto inevitabilmente le era stato applicato.
Tuttavia, il Falun Gong s'era ormai ramificato, mantenendo solide basi sia nel paese, dove comunque non poteva più operare coi modi eclatanti del passato, che all'estero, dove addirittura la sua rete poté prosperare più che mai. Ricevendo un sempre più fidato appoggio da parte di molte istituzioni governative e non governative soprattutto occidentali, la setta poté presentarsi come ingiustamente perseguitata da un governo dipinto come oppressivo, ed incontrare la solidarietà in buonafede di molti settori dell'opinione pubblica in Europa e nelle Americhe come in molta parte dell'Asia e dell'Oceania. Per vasti settori politici ed istituzionali occidentali, soprattutto ma non soltanto anglosassoni, la Cina cominciava sempre più ad apparire come una nuova e temibile sfidante sul piano internazionale, e di conseguenza tutto poteva far brodo per fronteggiarla: così il Falun Gong risultò subito “funzionale” quanto già lo potevano essere il Dalai Lama o la questione di Taiwan, o ancora quella in seguito escogitata degli Uyguri nello Xinjiang.
Tale è stato il livello di protezione assicurato al Falun Gong, che dal suo grembo nel corso degli anni hanno potuto figliare varie entità associate e parallele come la televisione New Tang Dinasty, il giornale Epoch Times, la rivista Vision Times, il corpo teatrale di Shen Yun, e via dicendo con tutta un'infinità d'altre trovate sempre molto pervasive e redditizie. Non diversamente è stato, dopotutto, anche per la stessa Dafoh, che del Falun Gong goffamente mira ad essere proprio una delle espressioni istituzionalmente più presentabili. Tuttavia, se il diavolo fa le pentole non fa i coperchi, e per questo motivo gli agghiaccianti resoconti di Dafoh non hanno tardato a presentarsi per quello che erano: carta straccia, per non dir di peggio. Basandosi su supposizioni personali, conversazioni telefoniche con propagandisti della setta ed altri metodi d'indagine certamente poco scientifici, accusatori come David Matas, David Kilgour ed Ethan Guttman, peraltro praticanti del Falun Gong a loro volta (!!!), hanno così stilato dei rapporti che apparivano più come dei manifesti ideologici anticinesi che altro; e come tali infatti la politica di molti paesi occidentali, dagli Stati Uniti all'Inghilterra, dal Canada ad Israele, passando per gran parte dell'Unione Europea, li ha subito accolti con gran giubilo, non aspettando e non desiderando altro. Alla fine, le rumorose inchieste di Dafoh sono approdate persino all'ONU, sbandierate da rappresentanti e delegati espressione di quei governi ma, consapevolmente o meno, anche del Falun Gong e di Dafoh.
Insomma, Dafoh è l'ennesima ONG con cui, spendendo milioni dei propri contribuenti, Washington gioca la carta del Falun Gong in chiave anticinese; e deve farlo solo sul conto di Pechino e non di altri paesi e governi, dove pure vi sarebbero prove fin troppo chiare ed abbondanti in merito al prelievo e al traffico di organi. Su di loro non deve farlo perché ovviamente, diversamente dalla Cina contro cui tutto è lecito compreso l'inventarsi prove fabbricate, in quel caso l'interesse strategico statunitense non verrebbe rispettato: pensiamo ad esempio ai traffici d'organi che vedono implicati paesi come Israele, Ucraina o Kosovo: tutti, neanche a farlo apposta, alleati proprio di Washington. Dafoh non potrebbe mai occuparsene, neanche se ne avesse delle pur remote intenzioni, perché ciò non sarebbe “funzionale” a chi la imbecca e finanzia, senza poi contare che le difettano anche la competenza e la professionalità adeguate per poter andare oltre qualche mero e fazioso proclama buono più per le piazze che per le sedi istituzionali. E' il famoso “doppio standard” occidentale: ciò che è “funzionale” si dice e si fa, ciò che non è “funzionale” non si dice e non si fa.
Eppure quanto denunciato sul conto di Israele è riuscito a trovare spazio anche nell'informazione occidentale, seppur tamponato dal pervasivo tentativo di farvi silenzio a tutti i costi da parte del mondo politico e culturale nostrani. Si tratta di una notizia che conosciamo ormai da almeno tredici anni, ma che anche nel corso dell'odierno conflitto israelo-palestinese scoppiato a Gaza ha prontamente trovato nuovi riscontri, tornando a riecheggiare nei media. Tuttavia i resoconti di questi medici ed osservatori non assecondano l'interesse occidentale, essendo infatti riuniti in organizzazioni che non godono del suo favore politico ed economico: ciò non toglie che riescano comunque a trovare risonanza anche nei media occidentali, quanto basti per allargare qualche crepa in un muro che altrimenti sarebbe di solo silenzio ideologico. Fu così nel 2009 come tuttora è oggi, malgrado i forti e continui giri di vite che la politica occidentale è riuscita a dare alla libertà d'informazione ed espressione che pure tanto ancora sbandiera.
Non parliamo poi del Kosovo, o dell'Ucraina, dove le fonti che potremmo trovare a quel punto si sprecherebbero da quante sono: almeno in questi casi le maglie di una certa censura, sempre pronta a silenziare ciò che è vero e ad inventare ciò che non lo è purché sia “funzionale” al proprio interesse strategico, per fortuna funzionano già meno bene. Ma di tutto questo l'ONG Dafoh ben si guarda dal parlare, per tutti i motivi già descritti: quel che deve fare è semplicemente ripetere, a propria volta, quel “doppio standard” proprio dei suoi padroni.