Soprattutto a partire dagli ultimi giorni si sta notando una sempre più intensa campagna sui diritti umani nello Xinjiang. Sebbene sia stato ampiamente documentato da vari osservatori ed organizzazioni internazionali, tanto dei paesi musulmani quanto di quelli occidentali, che le accuse rivolte a Pechino di “repressione delle minoranze” o di “genocidio degli uiguri” siano in realtà subdole mistificazioni, portate avanti a suon di lauti finanziamenti ed appoggi mediatici tra Stati Uniti, Inghilterra ed Unione Europea per mere questioni di “ragion politica”, i loro autori comunque non demordono e come già scritto in passato ora men che meno avrebbero delle ragioni per farlo. Dopotutto a breve a Washington arriverà un'Amministrazione sovranista per la quale, come provato già dal passato, speculare sulla questione dello Xinjiang risulterà ancor più un essenziale cavallo di battaglia di quanto già non possa esserlo per quella attuale: prova ne siano le parole recentemente espresse proprio dal suo Segretario di Stato, Antony Blinken. In base a tale meccanismo, d'altro canto, non tarderanno a ritornare in auge anche la Chiesa di Dio Onnipotente (CDO) coi suoi promotori, che sono poi gli stessi della “questione uigura” o ancora del Falun Gong, e che del resto finora non erano certo campati a pane e cicoria, relegati in un angolo buio.
In base alla “ragion politica” espressa dall'asse USA-UK-UE, “il nemico del mio nemico è mio amico”, pertanto si trasformano in vittime della repressione cinese quegli islamo-fondamentalisti che altrove gli stessi paesi occidentali considerano terroristi anche laddove non lo siano, dall'Asia Centrale al Medio Oriente, riservando loro trattamenti ben rappresentati ad esempio da Abu Grahib o da Guantanamo; mentre si provvede puntualmente a diffamare e delegittimare paesi considerati come “nemici strategici”, come in questo la Cina, allo scopo di discreditarne l'immagine a livello internazionale e soprattutto presso i paesi musulmani e mediorientali, su cui in passato l'Occidente poteva vantare un assoluto predominio poi venuto meno proprio a causa della politica di sviluppo e mediazione portata avanti da Pechino nell'area. Basti ricordare soltanto la ricomposizione tra Iran ed Arabia Saudita, che ha sanato l'antica frattura tra sciiti e sunniti su cui l'Occidente faceva gioco per preservare quel proprio predominio avvalendosi di un fidato alleato locale come Israele e che di fatto ha posto i termini perché quello stesso antico predominio subisse un profondo indebolimento.
Si può quindi anche ben comprendere perché s'insista tanto nel parlare dei “campi di rieducazione" per le minoranze musulmane uigure e kazake, spacciando per tali quelle che in realtà sono strutture penitenziarie e riabilitative nelle quali soltanto persone che hanno condotto azioni terroristiche vengono tenute e seguite per poter essere poi reinserite nella società civile: bisogna distogliere l'attenzione dai veri “campi di tortura” che i paesi occidentali stabilirono tanto in Medio Oriente quanto in patria, dall'Afghanistan all'Iraq, da Guantanamo alle “prigioni segrete” in Europa dell'Est, dai quali i combattenti legati ad al-Qaeda e ad altre sigle uscivano spesso persino più radicalizzati di prima e soprattutto finalmente al servizio dei loro ex carcerieri americani ed europei, per poter continuare ad insanguinare vari paesi arabi, subsahariani e centroasiatici, come la Siria, la Libia, il Caucaso o magari proprio lo Xinjiang. Dopotutto non fu forse così che nacque l'ISIS?
Non meraviglia perciò il tentativo di molte figure politiche e mediatiche che cercano, col loro lavoro e la loro autorità, d'esercitare una forte pressione sulla politica del nostro paese trattando sempre più insistentemente dello Xinjiang come del resto di tutti quegli altri argomenti cari alla “ragion politica” atlantista. Si prendano per esempio certi articoli di testate di geopolitica e di esteri ben legate a personalità notoriamente assai vicine agli interessi dei settori più oltranzisti di Washington e che sovente ospitano i loro articoli o quelli d'altri autori di loro fiducia: spesso e volentieri sono quasi “imprese a conduzione familiare”, in altri casi “agenzie ufficiose” degli ambienti politici e diplomatici più vicini a quei settori d'Oltreoceano, ma sempre e comunque delle loro “gole profonde” col preciso scopo d'influenzare il resto del dibattito politico nazionale. Dopotutto sarà talvolta proprio su quelle testate che i redattori dei giornali e dei telegiornali di portata più generica, rivolti al pubblico di massa, faranno affidamento per elaborare i loro servizi: non avverrà sempre, ma ad esempio nel caso dei giornali e delle rubriche televisive più ideologizzate, dalla visione marcatamente più atlantista, avverrà invece molto spesso. Come già scrivevamo, è di nuovo il loro momento e devono dare il “meglio” di sé. Facciano pure, quel che conta è sviluppare ed esercitare il proprio spirito critico e non lasciarsi fregare.