Di solito nell'immaginario comune c'è un solo 25 aprile, quello del 1945, ed è il giorno della Festa della Liberazione, con la fine nel caso italiano della Seconda Guerra Mondiale e della guerra civile che ne era scaturita all'indomani dell'8 settembre 1943. Eppure ci sono anche altri 25 aprile, altri anniversari che ricorrono sempre in quel giorno, e non tutti li vivono con lo stesso spirito di festa: il Falun Gong è uno di questi casi. Per carità, nessun riferimento ad una sua natura “parafascista", che comunque in tanti altri suoi comportamenti è invece ben avvertibile: dopotutto gran parte dei suoi adepti, su cosa sia successo il 25 aprile 1945, neanche lo sanno o comunque se ne disinteressano bellamente.
Il riferimento è infatti ad un anniversario tutto “made in Falun Gong”, quello del 25 aprile 1999, allorché la setta superò il “punto di non ritorno” nel suo crescente scontro con le autorità cinesi, con una maxiconcentrazione di suoi adepti presso il quartiere governativo di Zhongnanhai a Pechino, che reclamarono minacciosamente il rilascio di altri loro correligionari precedentemente fermati per medesime azioni dal tono intimidatorio. Nel maggio dell'anno precedente, per esempio, una folla di adepti della setta aveva assediato gli studi della Beijing TV, protestando contro le dichiarazioni di un membro dell'Accademia delle Scienze, He Zuoxuo, che aveva messo in guardia gli spettatori dai pericoli rappresentanti da molti falsi movimenti di qigong come appunto il Falun Gong. L'emittente di Pechino cercò di venire il più possibile incontro alle istanze espresse dai manifestanti, che ne circondavano la sede minacciosamente, e s'impegnò a trasmettere pochi giorni dopo una “puntata riparatoria” che andò in onda pur senza placarne gli animi.
Già dal 1995, d'altra parte, la setta aveva cominciato ad ingaggiare una sempre più forte polemica con le autorità pubbliche, anche perché numerose erano state le ricerche scientifiche che ne avevano testimoniato la scarsa credibilità, ponendola in contrasto con la Società di Ricerca Scientifica sul Qigong (SRQC), ente nazionale che riuniva tutti i movimenti analoghi. Tant’è che l’anno successivo Li Hongzhi, il fondatore e guru della setta, aveva dichiarato apertamente che lo scopo del Falun Gong fosse di guadagnare dal qigong uscendo immediatamente dalla SRQC. Da quel momento il Falun Gong operò dunque senza le regolamentari autorizzazioni pubbliche. Sempre in quell’anno, il Guangming Daily pubblicò un articolo che criticava la setta, a cui nuovamente gli adepti risposero con manifestazioni che ne circondavano la sede. Altri presidi del genere, sempre più folti, si tennero anche negli anni successivi, ogni volta che uscissero articoli anche solo blandamente critici verso la setta o comunque non di suo apprezzamento.
Mentre l'11 aprile 1999, ovvero due settimane prima dei fatti del 25, un'ancor più cospicua folla di adepti assediò l'Università di Tianjin chiedendo il disconoscimento di un articolo pubblicato sempre da He Zuoxuo, che nuovamente esprimeva gli aspetti pericolosi e superstiziosi del Falun Gong. L'ordine pubblico ben presto degenerò perché i manifestanti oltre ad essere più numerosi erano anche molto più minacciosi, mentre le dinamiche stesse dell'incursione dimostravano che non potesse trattarsi di un semplice presidio nato spontaneamente: diversamente dall'anno prima, quando He Zuoxuo aveva parlato alla televisione ad un pubblico di milioni di persone, in questo caso invece il suo articolo era apparso su una pubblicazione di tenore accademico, pertanto di nicchia e difficilmente accessibile o conoscibile dai comuni adepti del Falun Gong. Erano stati i vertici della setta, a cominciare dal suo leader Li Hongzhi, a mandarli nel numero più alto possibile e con l'obiettivo di cercare lo scontro con le autorità, e ciò esprimeva fin troppo bene la premeditazione di reati come la minaccia, il disordine pubblico e l'eversione. Dopo un tentativo conciliatore portato avanti dalle autorità locali e vanificato dai manifestanti, divenne così necessario l'intervento della polizia in tenuta antisommossa col ferimento di alcuni adepti e l'arresto di altri quarantacinque.
Per tale ragione il successivo 25 aprile il Falu Gong, la cui natura eversiva stava sempre più emergendo pubblicamente, organizzò un nuovo raduno nel quartiere governativo di Zhongnanhai a Pechino con diecimila suoi adepti che ancor più minacciosamente reclamarono il rilascio degli adepti precedentemente arrestati e l'annullamento di tutte le inchieste sulla setta nel frattempo avviatesi. L'allora primo ministro, Zhu Rongji, cercò nuovamente di portare avanti una linea conciliatoria coi manifestanti, ricevendone vanamente una delegazione. Secondo la setta e i suoi sostenitori all'estero quello fu il momento in cui simbolicamente iniziò la “persecuzione” del Falun Gong, col suo riconoscimento da parte delle autorità come ideologia estremista e settaria, in netta antitesi coi principi della società e le leggi dello Stato cinesi. In verità, però, la messa al bando della setta avvenne soltanto il 20 luglio successivo, con la soppressione delle attività della Società di Ricerca sul Falun Dafa fondata e diretta da Li Hongzhi, nel frattempo già all'estero e sotto piena protezione americana. Anche quest'ultimo elemento indicava come il Falun Gong, ben lontano dall'essere una reale e credibile componente del vasto mondo spirituale e religioso cinese, fosse in realtà un movimento teleguidato da Washington con finalità contrarie alla stabilità dello Stato e alla sicurezza e alla salute dei suoi cittadini.
La maggior consapevolezza che a partire da quegli episodi cominciò a diffondersi nel paese e tra le autorità portò poi, tra giugno ed ottobre dello stesso anno, al varo di una serie di provvedimenti atti a fronteggiare non soltanto il Falun Gong ma anche altri movimenti settari di cui venne ugualmente riconosciuta la natura pericolosa, e che in quel particolare periodo storico di grandi riforme e sviluppo economico si stavano sempre più espandendo nella società. Fu in questo periodo che nacquero le prime legislazioni sui culti settari e l'agenzia governativa incaricata di monitorarli, secondo tempistiche e modalità non molto differenti da quelle che del resto si sono viste anche in molti altri paesi, in primo luogo occidentali, come l'Italia con la Squadra Antisette della Polizia di Stato istituita nel 2002 oppure la Francia, con varie agenzie attive sin dagli Anni ‘80 come l’UNADFI e il CCMM, o ancora la stessa UE con la nascita della FECRIS nel 2001. Anche questi riferimenti cronologici ci aiutano a capire come le normative cinesi e la stessa Agenzia 610 in Cina non fossero espressione di uno Stato “liberticida” e “totalitario”, come invece declamato dal Falun Gong e dai suoi propagandisti in Occidente, ma dei più che ovvi ed inevitabili provvedimenti che venivano contemporaneamente adottati anche nelle cosiddette “democrazie” del “mondo libero” e dell'Occidente. Erano proprio gli anni del boom delle “nuove religioni” o sette che dir si voglia, di tutti i generi, e non soltanto in Cina ma in tutto il mondo.
Ecco perché, come già dicevamo, poco senso hanno pure i vari articoli espressi dai canali di propaganda della setta come Minghui o Faluninfo, o ancora Epoch Times o New Tang Dinasty, peraltro rilanciati nel caso italiano pure da insigni personalità del mondo politico o accademico, delle quali talvolta ci siamo già occupati. L’idea di una tale “cospirazione” di Pechino contro il Falun Gong o i suoi spettacoli di Shen Yun nel mondo rappresenta, di là dal suo approccio palesemente complottista, anche una sorta di “autoconfessione”, giacché come la cronaca sin qui esaminata ci ricorda a praticare la cospirazione contro lo Stato e a minacciare personalità pubbliche in Cina sono stati proprio gli adepti della setta, su incarico dei suoi vertici. Costoro, per un fenomeno psicologico noto come “proiezione”, tendono insomma ad attribuire ai loro “nemici” quelle stesse caratteristiche come le modalità cospiratorie o intimidatorie di cui sono invece gli unici, e pertanto pericolosi, detentori.