
Forse incoraggiati dai primi tepori primaverili, dopo un inverno invero assai rigoroso, alcuni adepti del Falun Gong hanno cominciato a farsi vedere nuovamente in giro, tentando senza dubbio con molta buona volontà e soprattutto molto ottimismo di raddrizzare le sorti di una setta che in Italia, come molti nostri lettori sapranno, è partita male per finire peggio. Da tempo i volontari del Falun Gong non si facevano più vedere in piazza coi loro consueti appuntamenti a cui immancabilmente c'avevano abituati fino a solo qualche mese fa; certo, restavano almeno in teoria i tradizionali ritrovi al Giardino degli Aranci a Roma, di cui tante volte abbiamo parlato, ma di qui a dire che fossero particolarmente partecipati ci voleva davvero coraggio, a tacer poi delle volte in cui restavano praticamente disertati. Stavolta però il clima più clemente ha dato qualche nuova possibilità a quella che s'era ridotta ad essere una setta poco più virtuale, fatta di praticanti soliti mantenersi in contatto soprattutto tramite la rete ad eccezion fatta degli eventi comuni come Shen Yun, peraltro nemmeno troppo vissuti o popolari, di darsi finalmente appuntamento in presenza, uscendo dai propri gusci domestici. Insomma, sono usciti dal letargo.
Così il 14 marzo gli adepti della Sardegna, invero non molti, si sono dati convegno a Cagliari per riprendere coi tradizionali presidi in Piazza Garibaldi: il palcoscenico era lo stesso, e così pure la rappresentazione, con l'immancabile gazebo e gli altrettanto immancabili cartelli e striscioni con gli slogan della setta e le false accuse al governo cinese. I praticanti, con la loro tipica maglietta gialla, spesso coperta da un buon piumino perché la primavera non ancora del tutto “rodata” non mancava di qualche punta più frizzantina, non facevano per numero le dita di una mano e tenevano i loro esercizi attorniati dalla distratta e distanziata perplessità dei per la verità neanche molti passanti. Qualche firma per le loro consuete campagne contro Pechino, tuttavia, sostenevano d'esser pure riusciti a raccoglierla: forse più per la compassione dei pochi passanti incautamente caduti nel loro raggio d'intercettazione, così da liberarsi delle loro ripetute richieste e dichiarazioni, che per altro.
Situazione non molto diversa a Roma, dove tra Largo Goldoni e Via del Corso il 15 marzo un gruppetto di adepti cautamente più nutrito è riuscito a metter su il proprio banchetto, con relative locandine, tenendo poi i consueti esercizi in mezzo alla curiosità dei tanti passanti e turisti: in una zona tanto centrale e trafficata della Capitale come quella, difficilmente uno spettacolo tanto eterogeneo sarebbe potuto passare inosservato. Non sono però mancati cittadini romani che, riconoscendoli dalle precedenti comparsate della setta sia là che da altre parti, li ha subito evitati facendo il giro largo: succede sempre, con mille ed altri banchetti del genere, a tutti quanti e in tutte le città. Tra i pochi che si sono soffermati, alcuni ragazzi delle scuole superiori, anch'essi piuttosto increduli. Gli striscioni dai contenuti tanto sensazionalistici, per non dire proprio becero, più che a convincere tendono sempre a trasmettere perplessità, in alcune persone dal carattere più critico e beffardo anche a suscitare una qualche sottile ironia.
In generale, dopo mesi d'assenza, si può dire che il ritorno del Falun Gong tra i comuni cittadini, nelle pubbliche piazze e vie, non abbia sortito grandi effetti; ma probabilmente a ciò anche i suoi adepti, malgrado l'indubbia e cospicua buona volontà, sono ormai abituati, per non dir proprio rassegnati. L'impressione, di anno in anno, è che dopo l'implosione iniziata tra i suoi vertici, anche nel resto della setta si stia assistendo ad una lenta e per certi versi pure malinconica moria; così almeno a livello italiano, dove da tempo non vediamo più un solo Falun Gong ma più branche che paiono andare per conto proprio o addirittura sparire nel nulla, quando per lungo tempo, quando per sempre. Altrove, in altri paesi europei, la situazione della setta è già diversa; ma ciò rafforza ancor più la tesi secondo cui, dopo essersi bruciata l'immagine dove vantava una presenza ormai tradizionale, come in Italia, il Falun Gong cerchi nuovi “mercati” dove sopravvivere in altre nazioni ancora, in buona parte da sondare ed esplorare, dall'India alla Turchia e via dicendo. Probabilmente l'Italia, per il Falun Gong, è ormai davvero un “caso perso”.