Cinque criteri per capire se una setta è pericolosa
di Andrea Bocconi
Tempo fa una persona mi chiese una valutazione psicodiagnostica. È raro che un privato la richieda se non all’interno di un percorso di psicoterapia. I risultati furono "normali", nessun segno di psicopatologia grave: chiesi che dubbi avesse e mi disse che nella setta religiosa induista di cui faceva parte da tre anni, quando aveva dichiarato la sua intenzione di allontanarsene le avevano detto che non era in grado di vivere fuori dal gruppo e sarebbe probabilmente impazzita o si sarebbe suicidata. La rassicurai che non sembrava proprio il caso e comunque le garantii il mio appoggio se queste vessazioni psicologiche fossero continuate.
L’articolo 19 della Costituzione garantisce la libertà di culto, sacrosanta. Ma dove finisce il culto, per quanto minoritario e magari stravagante, e comincia una setta pericolosa? Tracciare i confini non è molto facile, e su queste ambiguità Scientology, fondata dallo scrittore di fantascienza Ron Hubbard, benché sia stata oggetto di molte vicende giudiziarie in diversi Paesi del mondo, opera con successo economico notevole anche in Italia.
Per orientarsi e informarsi è utilissimo il libro Nella setta, di Flavia Piccinni e Carmine Gazzanni, due giornalisti coraggiosi che hanno fatto un’inchiesta approfondita su diverse organizzazioni: Dammanhur, Soga Gakai, Unione Punto Macrobiotico e molte altre. In alcuni casi - vedi la vicenda giudiziaria de Il Forteto, vicino a Firenze - hanno dimostrato pericolosi intrecci tra affari, politica fiorentina e supposte attività assistenziali. Hanno raccolto dati, testimonianze di fuoriusciti, si sono introdotti di persona in queste associazioni, consultato documenti.
Il quadro è inquietante: moltissime le vittime che si sono rovinate, sia economicamente che psicologicamente. Abbiamo detto che i confini tra un culto, una setta e un’associazione a delinquere possono essere confusi. Aspirazione spirituale, ingenuità, credulità popolare, fragilità psicologica? In fondo il desiderio di miracoli ha sempre incontrato madonne che piangono, guaritori spirituali come Mamma Ebe che si approfittavano della fiducia dei seguaci.
Qua però si parla di sette, e pur nel vuoto legislativo, ci sono certamente dei reati difficili da perseguire. Al ministero dell’Interno esista una Sas, squadra antisette, ma lamenta molte difficoltà di intervento. Il reato di plagio non esiste più ed è un bene perché era troppo vago, ma bisogna trovare una fattispecie che renda penalmente perseguibili certi comportamenti: questo è compito del legislatore. Talvolta si è parlato di riduzione in schiavitù, ma poiché le persone sembrano consenzienti, sarà molto difficile incastrare questi e queste pseudoguru.
Ma come si fa a capire se noi o i nostri cari sono finiti in una setta pericolosa? Propongo alcuni criteri su cinque coordinate: potere, denaro, sessualità, restrizioni alla libertà di comunicazione con le famiglie, comportamento con chi esce o vuole uscire.
1. Potere. Il capo o guru decide tutto, la struttura è rigidamente piramidale esistono regole che definiscono minuziosamente cosa l’adepto deve fare, anche in materia di sessualità, educazione dei figli, lavoro. Gli adepti sono privati del potere decisionale su molti aspetti delle loro vite.
2. Denaro. Gli adepti devono conferire i loro beni o lavorare per salari da fame che di fatto impediscono ogni autonomia.
3. Sesso. Il capo esercita anche un potere sessuale, sia personalmente che decidendo chi deve fare cosa con chi
4. Contatti esterni. Si tende a scoraggiare il contatto con "quelli di fuori", cosa che può arrivare a livelli patologici, quasi una paranoia di massa: vedi il suicidio colletto dei seguaci di Jim Jones in Guyana, o gli esiti della comunità di Osho in Oregon. Se sono presenti questi elementi, l’aspirazione alla spiritualità degli adepti è sfruttata per fini personali, che configurano anche reati. Le persone sono in pericolo. Si incoraggia però fortemente il proselitismo, che fa avanzare di grado chi porta dentro più gente, i cosiddetti reclutatori ? Questo è il caso di un santone pugliese che, tra maratone di preghiera, apparizioni dell’ostia e altri fenomeni, cerca di ampliare la sua sfera di influenza.
5. Uscite. Per chi esce si va dall’ostracismo totale alla diffamazione e anche alle minacce. Non si deve parlare con giornalisti, psicologi e psichiatri. Molte delle testimonianze raccolte nel libro trasudavano paura. Non è facile venirne fuori, tra sensi di colpa, un’identità messa in crisi dal lavaggio del cervello di anni, una sudditanza economica, la perdita della rete di contatti familiari e sociali.
Anche di recente un genitore preoccupato per la sorte di un figlio ci ha chiesto aiuto: ci si può rivolgere a delle associazioni che si occupano di queste situazioni, per esempio il Cesap, Centro studi abusi psicologici, il Gris di Torino, l’Onap, Osservatorio nazionale abusi psicologici. È fondamentale che il governo si impegni perché il vuoto legislativo alimenta l’impunità. Ci sono state interrogazioni parlamentari, ci auguriamo davvero che abbiano un seguito.
Articolo pubblicato da Il Fatto Quotidiano il 3 marzo 2019