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Damanhur, la comunità misteriosa che vive ai piedi delle Alpi

2020-01-15 16:31

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Damanhur, la comunità misteriosa che vive ai piedi delle Alpi

A soli 50 chilometri dall’urbanizzazione metropolitana torinese, cinquecento persone hanno scelto di vivere secondo l’antica logica della tribù, tra i boschi

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Damanhur, la comunità misteriosa che vive ai piedi delle Alpi


A soli 50 chilometri dall’urbanizzazione metropolitana torinese, cinquecento persone hanno scelto di vivere secondo l’antica logica della tribù, tra i boschi

di Antonio Borrelli - 29.08.2018

Da una parte la città, dall’altra il villaggio. In mezzo, a separarli, foreste e montagne. A soli 50 chilometri dall’urbanizzazione metropolitana torinese, cinquecento persone hanno scelto di vivere secondo l’antica logica della tribù, tra i boschi.

Ai piedi delle Alpi, sparse in un raggio di 15 chilometri tra Torino ed Aosta, dal 1975 esistono alcune comunità spirituali della Federazione di Damanhur. «Un laboratorio per il futuro dell’umanità», viene definito dai suoi «cittadini». Lo scopo dichiarato è quello di costruire un’ecosocietà, in cui il rapporto con la natura e la ricerca di valori profondi scandiscono la quotidianità degli abitanti. Sembra una realtà parallela, e forse è proprio di questo che si tratta. Negli anni Settanta, nel solco di un periodo dai forti cambiamenti culturali, Oberto Airaudi elabora il progetto e fonda Damanhur. Un personaggio discusso, su cui ancora oggi aleggiano molte ombre, ma che dopo la scomparsa avvenuta nel 2013 è quasi venerato dai cittadini della Federazione (Guarda il video).

Setta o comunità?

«Vogliamo ristrutturare il mondo rendendolo più a misura di essere umano, recuperando la struttura fatta di 200 persone. Visto che siamo oltre il capitalismo, oltre il comunismo, oltre le grandi religioni, dobbiamo chiederci: domani cosa ci aspetta? Qual è il nostro ruolo qui?». A parlare è Michele Scapino, uno dei cofondatori del «laboratorio umano». Racconta con simpatia e carisma i tratti caratteristici della sua comunità, cerca di spiegare la loro quotidianità, ma in alcuni passaggi sembra di ascoltare le parole di un predicatore. Eppure «Damanhur non è una religione, tantomeno una setta». Loro ci tengono a sottolinearlo a più riprese, quasi ad ammettere un certo disagio nel rapportarsi con il mondo esterno. Ma allora cos’è Damanhur? Ci si scordi la setta di stampo otto-novecentesco con richiami al primitivismo e punizioni corporali: a Damanhur ci si può muovere liberamente e di violenze non c’è neanche l’ombra. Ma esiste un codice comportamentale, una Costituzione molto rigida, un ordinamento giudiziario interno, dei centri formativi, regole autonome su matrimonio e relazioni sociali; c’è persino una moneta - il credito - e le relative macchine del cambio con l’euro.

I templi nella roccia

In una giornata trascorsa nel cuore della Federazione le espressioni più utilizzate sono «ricerca spirituale», «meditazione», «esperienze», «riflessione», «arte». Spesso gli aderenti parlano di filosofia damanhuriana, e in essa sembrano confluire simboli pagani, riti ancestrali, figure mitologiche, rappresentazioni religiose. Questa inedita miscela è custodita dentro una montagna. Proprio così: a partire dalla fondazione della Federazione, per anni i primi partecipanti costruirono in gran segreto dei templi scavati nella roccia, oggi arrivati al numero di otto. Con tanto di ingressi nascosti e passaggi segreti, le sale - ognuna caratterizzata da suoni, odori e significati e collegate da cunicoli labirintici - rappresentano il fulcro del pensiero di Damanhur, dove si realizza l’apice del misticismo. Siamo a 70 metri sotto terra. Qui si svolgono i rituali, alcuni dei quali ancora sconosciuti, che gli accompagnatori liquidano spesso come «esperienze meditative». Muri di specchi, pareti decorate con scene di vita rituale, manufatti iconici, vetrate dai mille colori, sfere luminose, mosaici, statue di pietra. Nel profondo della roccia esiste oggi un mondo sconosciuto ai più che provoca fascinazione e inquietudine allo stesso tempo. «E’ il nostro lascito alla Storia, questi saranno i ritrovamenti per gli archeologi del futuro», afferma convinto l’accompagnatore Baris indicando le pitture murali in una delle sale.


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