Iscriviti alla nostra Newsletter

Resterai informato su tutti i nostri aggiornamenti

Osservatorio Sette

Notizie

Perché la partita di Hong Kong non è solo cinese: il Vaticano, gli Stati Uniti e il cardinale Joseph Zen

2020-05-05 16:00

OS

News, Hong Kong, Falun Gong, Chiesa Cattolica, Cattolicesimo, Cina, Concordato, Papa Francesco,,

Perché la partita di Hong Kong non è solo cinese: il Vaticano, gli Stati Uniti e il cardinale Joseph Zen

Hong Kong non è certamente nuova a disordini che ben presto trovano sponde all'esterno, in particolare ad Occidente. Qual è il ruolo del cardinale Joseph Zen?

unnamed-1591113161.png

E' ormai cosa nota che nel tardo settembre 2018 Cina e Vaticano firmarono il primo Accordo foriero di un Concordato vero e proprio; ciò apparve fin da subito come un fatto di portata storica, ed in tal modo infatti ne parlarono i principali giornali del mondo cattolico, da L'Avvenire (quotidiano della Conferenza Episcopale Italiana, espressione quindi del mondo vescovile italiano) a La Civiltà Cattolica (la più antica rivista nazionale, voce dei Gesuiti, e che dedica una consistente parte del suo lavoro culturale proprio ad approfondire il rapporto con la Cina), e via dicendo.

 

La soddisfazione, tuttavia, sembrava prevalere soprattutto negli ambienti più "istituzionali" e "pragmatici" del mondo cattolico ed ecclesiastico, dato che altrove la "storica firma" non era stata accolta col medesimo stato d'animo. Non pochi, per esempio, erano i malumori tra i cattolici più oltranzisti o tradizionalisti, che dal Vaticano avrebbero preferito il mantenimento di una linea dura e distaccata nei confronti di Pechino, o meglio ancora un suo rafforzamento, dato che all'importante intesa del settembre 2018 non si era certo giunti per caso ma proprio dopo un lungo lavoro di dialogo, di diplomazia e di sforzi per aumentare la comprensione e la fiducia reciproche. 

 

Ad esprimere tali malumori erano in primo luogo alcuni ambienti ecclesiastici sia degli Stati Uniti che di altre realtà sempre esterne alla Cina, ma che con quest'ultima bene o male vi hanno sempre avuto a che fare. La Nuova Bussola Quotidiana, giornale online espressione del mondo cattolico più tradizionalista in Italia, pubblicava per esempio nel dicembre dello scorso anno l'intervista al cardinale Joseph Zen di Hong Kong, inizialmente apparsa su un quotidiano di Taiwan, New Bloom, nato nel 2014 sull'onda lunga del locale "Movimento dei Girasoli" (Sunflower Movement). L'intervistatore, partito dal proprio paese di origine per incontrare il cardinale Joseph Zen, gli aveva in tale occasione rivolto varie domande, che partivano in primo luogo dalla situazione politica e di ordine pubblico di Hong Kong.

 

Com'è noto, in quel periodo Hong Kong era già stata teatro di gravi disordini contro le autorità locali, che ricordavano sotto molti aspetti la "Umbrella Revolution" del 2014. Il fatto che tali disordini oggi continuino ancora, continuando a godere di un'importante sponda politica e mediatica soprattutto dagli Stati Uniti e dall'Inghilterra che ha amministrato Hong Kong fino al 1999, restituisce attualità ed importanza anche a questa intervista e alla complessa questione dei rapporti fra la Cina ed il Vaticano, così come fra la Cina ed il mondo occidentale.

 

Alcune risposte del cardinale Zen meritano, in tal senso, di non passare inosservate: rispetto ai manifestanti di Hong Kong, egli si pone infatti su una linea ancora più "estrema". Quando l'intervistatore, Nicholas Haggerty, gli chiede se si definisca cinese, Zen risponde infatti: "Sicuro. Quindi, quando [i manifestanti] discutono dell'indipendenza di Hong Kong, io dico: “No. Cosa intendete?". Dicono: "Non vogliamo essere mescolati con la Cina. Non ci importa della Cina, vogliamo Hong Kong". E io dico: "No, a me interessa la Cina. Anche la Cina mi appartiene. La voglio riprendere dalle mani dei Comunisti. Non sarò mai soddisfatto di essere solo un cittadino di Hong Kong. No, no, io sono cinese". Successivamente il cardinale Zen ricorda: "Sono stato fatto vescovo da Giovanni Paolo II. Ma in realtà non era una sua decisione. La decisione era del cardinale Tomko, a quel tempo a capo della Congregazione per l'Evangelizzazione. Perché? Perché a quel tempo, quindici anni prima del 2000, in Cina c'era una nuova apertura politica. Il cardinale Tomko voleva esserne coinvolto, e proveniva dalla Cecoslovacchia. Conosceva i Comunisti. Aveva avuto una lunga esperienza in Vaticano. Era un buon amico di Giovanni Paolo II. Cercò di lavorare molto bene"

 

Quella decisione, in effetti, risaliva al 13 settembre 1996 e Joseph Zen divenne vescovo coadiutore di Hong Kong; in seguito, alla scomparsa del cardinale John Baptist Wu Cheng-chung, nel 2002, successe pienamente nella gestione della sede episcopale di Hong Kong. Nel 2006 Benedetto XVI lo elevò a cardinale presbitero presso Santa Maria del Redentore a Tor Bella Monaca, carica a cui rinunciò nel 2009 per ragioni di età. Nel frattempo, però, aveva scritto le Meditazioni per la Via Crucis del Papa nel Venerdì Santo del 2008 e, in materia di Cina, aveva fortemente criticato la dispersione di un gruppo di manifestanti che a Hong Kong chiedevano l'indipendenza del Tibet. 

 

E' stato allora che probabilmente molti lati della figura di Joseph Zen sono emersi anche ai più digiuni di certe complesse alchimie interne al vasto mondo cattolico. Fino a quel momento Joseph Zen era noto soprattutto per la sua visione profondamente tradizionalista del Cattolicesimo (è infatti uno dei cardinali che ancora celebrano la Messa Tridentina secondo i dettami precedenti a Papa Giovanni XIII, che avviò quel processo di riforma della Chiesa e di molta della sua liturgia poi continuato dal suo successore Paolo VI) e per il suo forte anticomunismo. Ma entrambi erano aspetti che non stupivano, soprattutto dopo i 25 anni di pontificato di Papa Giovanni Paolo II, che era apparso fin da subito fortemente conservatore in materia religiosa e per nulla incline a scendere a compromessi col mondo comunista o con qualsiasi cosa che a parer suo lo rappresentasse (a tal proposito, è significativo il suo atteggiamento verso l'America Latina degli Anni '70 e '80, ed in particolare verso movimenti come quello della Teologia della Liberazione). Solo con la Perestroijka in Unione Sovietica e successivamente col riavvicinamento con Cuba e la visita a L'Avana qualcosa cambiò, ma del resto era "quel mondo" ad essere cambiato. Non è però così per il cardinale Zen e per il "suo mondo".

 

Nella sua strategia di lotta al Comunismo cinese, vengono banditi i compromessi o gli obiettivi che ritiene "parziali" (ecco perché non concorda col movimento di protesta di Hong Kong, dal momento che il suo obiettivo non è l'indipendenza della città o il suo ritorno all'Inghilterra, ma bensì l'abbattimento dell'attuale sistema politico vigente in tutta la Cina: un proposito certamente molto più massiccio ed ambizioso) e pur di ottenere quel "tutto" non esclude di provocare una scisma dalla Chiesa in Cina e nemmeno di allearsi tatticamente all'opposizione con la famigerata setta Falun Gong, che certamente proprio cattolica non è ma che con lui condivide i medesimi punti di vista intorno alla politica di Pechino e lo stesso sostegno da parte di Washington. Dice infatti ad un certo punto dell'intervista: "Di recente ho appreso che il Santo Padre, su un volo di ritorno da non ricordo dove, ha detto: 'Certo, non voglio vedere uno scisma. Ma non ho paura di uno scisma'. E gli dirò 'stai incoraggiando uno scisma. Stai legittimando la chiesa scismatica in Cina". Mentre sul sito cattolico Santi e Beati, alla voce "cardinali elettori", si può leggere che "è stato particolarmente critico per la decisione di Pechino di mettere fuori legge il movimento spirituale “Falun Gong” accusato di aver “tentato di abbattere” il Partito Comunista".

 

Nella sua ostilità a figure come Papa Francesco e Monsignor Parolin, che ritiene troppo progressisti ed inclini all'arrendevolezza con la Cina, il cardinale Zen ritiene quindi necessario portare avanti una lotta "senza quartiere" alle autorità di Pechino, che va ideologicamente a qualificarsi come ancora più estrema non soltanto rispetto a quella propugnata dai movimenti di protesta a Hong Kong, ma pure rispetto a quelli che all'estero sostengono il separatismo di regioni autonome come il Tibet e lo Xinjiang, tutti comunque ben legati o graditi a governi come quello statunitense, inglese o (nel caso dei gruppi musulmani estremisti uiguri) turco. Anche perché, come sottolinea alla fine dell'intervista, "il problema con i buddisti in Tibet e i musulmani nello Xinjiang è ancora più complicato perché è collegato alla razza. Il nostro problema è che siamo una Chiesa universale. Quindi non c'è speranza, nessuna speranza. Nessuna speranza [di poter trattare col governo di Pechino]".


Osservatorio Sette

Al servizio della vera e libera informazione: ovvero ciò che stregoni, santoni, ciarlatani e guru temono di più. Perché quelle che dicono e che fanno dire ai loro seguaci sono soltanto balle.

Per maggiori informazioni:

info@osservatoriosette.com

Cookie Policy | Privacy Policy

Create Website with flazio.com | Free and Easy Website Builder