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Quando la propaganda sovverte la storia: la lezione del Novecento

2021-12-28 15:00

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Quando la propaganda sovverte la storia: la lezione del Novecento

E' un grande classico: quando ci si vuol parare le spalle, creandosi una narrazione "di comodo" utile a mascherare i propri reali tornaconti, la prima

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E' un grande classico: quando ci si vuol parare le spalle, creandosi una narrazione "di comodo" utile a mascherare i propri reali tornaconti, la prima cosa che si fa è omettere oppure modificare tutti quei dettagli della realtà che altrimenti la smentirebbero. E' ciò che da sempre fanno molti nostri giornalisti, docenti e politici tutte le volte che devono parlare di questo o quel paese che hanno in antipatia per proprie ragioni ideologiche o anche soltanto personali; ma in formato molto più semplice e "terra terra", lo fanno anche molti comuni cittadini, parlando magari di un collega o di un parente quando sono in casa o al bar. La logica di base è sempre la medesima, ma è una logica inquinata da una fortissima malafede: inutile girarci troppo intorno.

 

Il Novecento, da molti definito forse anche troppo erroneamente come "Secolo Breve" visto che in fin dei conti le sue propaggini ed eredità durano tuttora, nel Duemila inoltrato, ci ha offerto una continua sequela di tali schemi. Inizialmente feroci nazionalismi (francesi contro tedeschi, italiani contro austriaci, e così via) che ci hanno portato direttamente alla Prima Guerra Mondiale. Poi altrettanto feroci scontri ideologici (l'Occidente contro i Bolscevichi, Fascismo e Nazismo contro il Comunismo, ecc) che ci hanno portato altrettanto direttamente alla Seconda Guerra Mondiale. Due grandissime tragedie che abbiamo pagato con un enorme bilancio di morti, oltre ai tantissimi feriti, dispersi e agli innumerevoli danni di cui non soltanto l'Europa si è ritrovata disseminata.

 

Ancora, perché non ci era stato sufficiente, lo scontro fra Est ed Ovest, fra i paesi del "Campo Socialista" riuniti intorno all'URSS e quelli del "Mondo Libero" riuniti intorno agli USA, e quindi un altro mezzo secolo di conflitti non soltanto verbali e mediatici ma anche guerreggiati nel senso vero e proprio della parola. E così abbiamo vissuto nuovi e gravi drammi, quando sociali e culturali, quando proprio bellici, dal Maccartismo alla Strategia della Tensione, dalla Guerra di Corea a quella del Vietnam, a tacer poi dei tantissimi conflitti vissuti anche in altre realtà geografiche del mondo come il Corno d'Africa  o le ex colonie portoghesi, o ancora il Medio Oriente con le guerre a ripetizione tra arabi ed israeliani, o ancora i tantissimi rivolgimenti interni a numerosi paesi che ad esempio in America Latina o nel Sud Est Asiatico portarono all'avvento di feroci dittature (da Suharto in Indonesia a Pinochet in Cile o Videla in Argentina, o ancora i generali sudcoreani o i loro omologhi brasiliani, e così via). 

 

Eppure, finita la contrapposizione Est-Ovest con la caduta del Muro di Berlino e poco dopo anche dell'URSS, ci siamo davvero illusi che il Novecento fosse finito in anticipo e che, per dirla con Fukuyama (che però si è di recente pentito di questa sua dichiarazione, ritrattandola), ci trovassimo davvero di fronte alla "fine della Storia". Credevamo nel mito della Globalizzazione, pensando che avrebbe aperto il mondo intero riavvicinandolo e vincendo le antiche distanze e diffidenze. Invece non è stato così: il risveglio da quella momentanea euforia, che del resto solo una parte del pubblico aveva realmente vissuto, è stato assai brusco. La guerra del Golfo e il conflitto civile nella ex Yugoslavia, oltre a quelli del Caucaso post-sovietico o in altre realtà ancora, non meno sanguinosi, hanno ben presto fatto capire a tutti che l'epoca della "pace per sempre" era in realtà ancora ben lontana dall'arrivare, se mai davvero sarebbe arrivata.

 

A dare un forte contributo a questo grande stato di caos perenne e collettivo, è inutile dirlo, sono proprio coloro che diffondendo la cultura dovrebbero in teoria prevenire che ciò avvenga: è cultura informativa nel caso di giornalisti, opinionisti e docenti, ma diventa cultura politica nel caso di personalità di governo e di potere. Non dipende tutto da loro, e questo è certo; ma da loro può comunque dipendere molto. Dunque, ben farebbero a riflettere seriamente su ciò che fanno: perché non cercare, nella vita, di fare davvero la differenza? 

 

Ad esempio, in un'epoca in cui il liberalismo politico ed il liberalismo economico (liberismo) hanno perso molto smalto, forse sarebbe bene cominciare a guardarsi un po' più intorno. Molti lo fanno con assoluta tranquillità e disinvoltura quando si tratta di optare per la religione che gli è più confacente in base ai propri bisogni spirituali o anche soltanto sociali e mondani, ma ben di rado sono disposti a fare la stessa cosa quando si tratta di propri convincimenti socio-politici e quindi anche ideologici. E' come se in Occidente vi fosse un muro, una barriera oltre la quale è impossibile passare: pena, l'autoghettizzazione, l'automarginalizzazione dal resto della società. Ma chi ha detto che questo debba poi davvero avvenire? Del resto, non succede forse la stessa identica cosa anche aderendo ad un preciso gruppo religioso o anche soltanto ad un preciso stile di vita alimentare? E allora perché, invece, quando si parla di politica improvvisamente in Occidente si ritorna tutti per forza di cose ad essere i soliti e classici conformisti? E' un po' dissonante, non trovate? Eppure è la normalità per molte persone.

 

L'ostracismo che si sta riservando, nel nostro Occidente ormai sempre più autoreferenziale ed autoconvinto di non aver mai davvero niente da imparare dagli altri, ai modelli e agli esempi altrui è destinato inevitabilmente ad implodere crollando su se stesso, per il semplice fatto di essere basato su fondamenta di cartapesta. Il diluvio delle nuove migrazioni di persone provenienti da altri paesi e culture, benché pur sempre attratte dal nostro modello ma al tempo stesso portatrici anche di loro tradizioni e mentalità; il sempre più serrato confronto coi modelli sociali ed economici di altri paesi vieppiù competitivi nei nostri confronti; non ultimo i continui errori frutto anche del nostro approccio superficiale alle realtà altrui che ci ritroviamo a pagare con continui scontri contro il muro; tutto questo ci costringerà sempre di più a credere sempre meno a molte scuse che ci raccontiamo da soli, ogni volta nel tentativo sempre meno convincente di autogiustificarci.

 

La capacità con cui molti paesi, diversamente da noi, sono riusciti a neutralizzare o comunque a ridurre ai minimi termini il Covid che invece nel nostro emisfero continua a dominare, o a rilanciare le loro economie e i loro sistemi produttivi che da noi invece continuano ancora a boccheggiare proprio a causa della pandemia, e così via con tanti altri esempi del genere: tutto questo ci dovrebbe pur invitare ad una riflessione. Siamo davvero ancora vittime di quelle teorie positiviste ottocentesche che diedero linfa ai nazionalismi e ai totalitarismi del nostro Novecento, giustificando ancor prima le varie avventure coloniali? Tutte queste simpatiche esperienze le facemmo pensando che il nostro Occidente fosse la migliore civiltà del mondo, quella che pertanto era in diritto e persino in dovere di colonizzare e sopraffare le altre, insegnando a tutto il resto del pianeta a comportarsi secondo quel modello che da soli avevamo definito come "superiore". Fu così che avvennero le Guerre dell'Oppio, e il Secolo delle Umiliazioni ai danni della Cina, o le conquiste in Africa e tutte le altre "ammirevoli" imprese con cui facemmo "onore" nel mondo. Fino, ovviamente, ad arrivare alle tante e recenti "missioni di pace" o "guerre umanitarie" che dir si voglia, dalla Yugoslavia al Kosovo, dall'Iraq alla Libia, fino all'Afghanistan e via discorrendo: e come sono andate tutte queste nobili imprese? Lo vogliamo ricordare o davvero riteniamo che siano state un successo?

 

Il caso della Cina ci dovrebbe dare numerose lezioni, dato che è un paese che in più di quarant'anni è divenuto la prima potenza produttiva ed economica al mondo senza sganciare una sola bomba su nessuno: difficilmente altri, da noi, potrebbero dire la stessa cosa: che abitino a Washington o a Londra, a Parigi come a Bruxelles o a Berlino. Ha saputo mettere all'angolo la pandemia da Covid, contro la quale invece noi ancora ci dibattiamo, e ha vinto la battaglia contro la povertà estrema, che invece nel nostro emisfero ancora continua a mietere vittime, in nome della meritocrazia liberista americana o dell'austerità e del rigore dei conti europei. Ma proprio perché è un competitore economico e quindi politico ormai sempre più temibile, ecco che in Occidente qualcuno comincia a temerla. Ed è per questo, in ultima analisi, che contro la Cina e il suo popolo a quel punto "tutto fa brodo": disinformazione su disinformazione, utile a delegittimare quel paese solo perché non sufficientemente prono a chi ha controllato il mondo fino ad oggi incontrastato. Del resto, lo si fa anche per molto meno, semplicemente contro qualsiasi paese che abbia il torto di non essersi sottomesso a sufficienza: ed ecco i casi già precedentemente citati della Libia o di altri ancora su cui le bombe magari per ora non sono ancora piovute, ma in compenso sono piovute accuse ed attacchi di ogni genere, oltre a vari tentativi di destabilizzazione interna (la Russia, Cuba, il Venezuela, ecc). Eppure la storia ci dovrebbe insegnare che è solo lasciando in pace gli altri e favorendo un clima di distensione e di dialogo che il mondo può davvero diventare migliore per tutti. Anche perché, in questo modo, tutti possiamo conoscerci meglio e quindi imparare l'uno dall'altro superando anche le antiche divisioni e diffidenze.

 

 


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