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Parlando di libri: attenzione a quando si vogliono far coincidere cultura e politica

2022-03-27 16:00

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Parlando di libri: attenzione a quando si vogliono far coincidere cultura e politica

Come molti operatori e professionisti di settore sapranno, oprattutto nell'ambito della saggistica la politica (o meglio sarebbe dire l'influenza dell

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Come molti operatori e professionisti di settore sapranno, oprattutto nell'ambito della saggistica la politica (o meglio sarebbe dire l'influenza della politica) gioca sempre un ruolo a dir poco determinante. E' semplicemente impossibile poter scrivere di certi argomenti se non si gode già di un forte curriculum connotato da una provata appartenenza ad un alto giro politico ed istituzionale, nell'orbita dei partiti e dei gruppi che determinano e garantiscono l'orientamento politico e culturale del paese tutelandone quindi la presenza nell'odierno "status quo" e pertanto anche la sopravvivenza di quest'ultimo. I cosiddetti "cani sciolti", insomma, trovano sempre le porte chiuse oppure devono, nella migliore delle ipotesi, accontentarsi di una vita professionale in sordina, indipendentemente da concetti tanto sbandierati come la competenza, la professionalità o la meritocrazia.

 

Quando, nel 2018, uscì il libro di Flavia Piccinni e Carmine Gazzanna, "Nella Setta", edito da Fandango, ben pochi gli dedicarono grandi tributi tanto nel mondo politico quanto in quello culturale ed accademico, e lo stesso valeva ovviamente per quello mediatico, che pure non perde tempo a profondersi in lunghe e retoriche recensioni per tanti altri testi solitamente assai più trascurabili. E pensare che il libro di Piccinni e Gazzanna diceva cose sacrosante, ma evidentemente il problema era proprio quello. Tant'è che quando l'anno dopo, a Torino, si tenne all'Università una conferenza proprio sulle sette religiose, fu dedicato un apposito spazio proprio al libro, che venne letteralmente sottoposto a processo e contrastato dai relatori senza che però i suoi autori fossero stati invitati; e tutto questo avveniva comunque in un contesto in cui le stesse sette potevano autodifendersi ed autoincensarsi per bocca di loro esponenti presenti in cattedra, attaccando oltretutto le vittime di quelle stesse sette che analogamente non erano state invitate. Insomma, se le cantarono e se le suonarono fra di loro, godendo dell'ospitalità di un'importante struttura culturale e del relativo spazio mediatico. La reazione indignata delle vittime e delle associazioni che le tutelano, aiutano e rappresentano, rimase ovviamente inscoltata.

 

Scommettiamo che non avverrà la stessa cosa anche per quanto riguarda altri libri. Dopotutto ciò che conta, per far successo e non aver problemi nella vita, è di muoversi sempre seguendo la corrente, ovvero interpretando e compiacendo l'orientamento politico dominante. Ed ecco che quindi, nel clima geopolitico e culturale preponderante oggi a livello occidentale, un libro come quello di Gianni Vernetti, "Dissidenti. Da Aleksey Navalny a Nadia Murad, da Azar Nafisi al Dalai Lama: incontri con donne e uomini che lottano contro i regimi" sicuramente piacerà e non troverà ostacoli. L'intervista allo stesso autore, che si può ad esempio leggere nell'abbondante servizio offerto dal periodico Panorama, del resto lo fa capire chiaramente. Tra le spiegazioni date di corredo al libro, si parla di "recessione democratica principalmente connessa alle svolte autoritarie di Russia, Cina, Iran e Turchia", fra l'altro con un tempismo che colpisce proprio l'odierno "clima bellico" europeo.

 

Complessivamente, il libro è un po' tutto un reiterato insieme dei tanti concetti che da sempre tengono banco non soltanto su altre pubblicazioni contemporanee, ma ancor più nelle varie istituzioni occidentali, americane, europee o nazionali che siano. Da "Putin che trasforma una democrazia imperfetta in dittatura" (però, prima, andava benissimo, e forse sarebbe andata benissimo anche dopo, bastava che continuasse a fare i compiti a casa da brava scolara dell'Occidente come ai tempi di Eltsin, che truccava le elezioni e cannonneggiava il parlamento: vero?), a "Xi Jinping che cancella ogni residua forma di libertà incarcerando un milione di uiguri e cancellando la città libera di Hong Kong" (ma possibile che dopo anni ed anni continuiamo ancora coi soliti numeri forniti dallo Uyghur Tribunal di Londra e da altre ONG al soldo del governo inglese ed americano?), oltre a tutto il solito elenco di nemici dell'Occidente "brutti, sporchi e cattivi" come "l'Iran che ha proseguito il suo programma nucleare illegale esportando instabilità in tutto il Medio Oriente" (e noi, poveri ingenui, che pensavamo che la guerra in Iraq, Libia, Siria ed Afghanistan, così come a Gaza o in Libano, ecc, le avessero fatte gli americani, gli europei e gli israeliani!), o "la Turchia che, nonostante sia un membro della NATO, ha subito la svolta autoritaria ed islamista di Erdogan" (ma pensa un po': una volta la volevate pure dentro l'Unione Europea, e quando interveniva in Siria non dicevate nulla, ma appena si è discostata un po' dall'Occidente vi siete accorti di tutti questi problemi!). 

 

Terribile quanto dichiarato proprio sulla Cina: "ci siamo illusi di poter confinare la Cina a ruolo di fabbrica del mondo" (insomma, a semplice paese di schiavi, inserito in un meccanismo di globalizzazione dove gli USA comandano e l'UE fa da vice), ma, per andar al sodo del discorso, purtroppo è andata male perché invece la Cina è stata troppo furba e ha osato persino rivendicare una sua autonomia, riuscendo per giunta anche ad ottenerla! Poi c'è la tipica incensazione del Dalai Lama, presentato come "un semplice monaco buddista" (sembra quasi di ricordarsi Giovanni XXIII, il "Papa Buono", che si definiva e veniva definito "un semplice parroco di campagna!" Peccato, però, che il Dalai Lama si goda invece un bell'esilio dorato a Dharamsala, in India, dove ha sede il suo governo in esilio lautamente rifocillato da soldi inglesi, indiani ed americani, oltre al tesoro nazionale del Tibet che nel 1959 portò via dal suo ormai ex regno dopo che era fallita la rivolta secessionista che aveva tentato contro le autorità nazionali). Ed infatti non manca il conseguente e prevedibile attestato di simpatia anche al "lavoro" dei poveri monaci in India (frati "poveri" in un convento ricco, ovvero quello del loro governo in auto-esilio, si potrebbe dire pensando ad una vecchia battuta che veniva usata nella nostra Prima Repubblica, riferendosi agli allora partiti di governo, dove i soldi certo non mancavano), oltre al solito ripetersi della vecchia storia del "genocidio culturale" tibetano che però, intanto, nessuna persona che abbia visitato il Tibet è mai davvero riuscita a capire dove sia.

 

D'altronde l'autore, ex Margherita ed oggi PD, già sottosegretario agli Esteri e membro della delegazione italiana presso l'Assemblea Interparlamentare della NATO, è espressione di punta di un determinato mondo politico non soltanto italiano ma più estesamente occidentale. E, operando a Torino, non ha certo problemi di "cattivo vicinato" col CESNUR, che sempre a Torino ha sede e a cui, tra le sue varie iniziative, si deve addebitare anche la non proprio edificante conferenza "pro-sette" presso l'Università di Torino del 2019. Insomma: attenzione a quando si vogliono far coincedere cultura e politica.


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