In merito al XX Congresso del PCC, che si sta tenendo a Pechino proprio in questi giorni, numerose sono le considerazioni rapidamente sorte in Europa e nel resto dell'Occidente, compreso anche il nostro paese. Se in Occidente la maggior parte del dibattito, spesso dai tratti assai polemici, è rivolta soprattutto al terzo mandato di Xi Jinping o all'impatto che il Congresso avrà nei rapporti tra Cina e Russia e quindi anche sulla crisi ucraina, nel caso di altri operatori più "specialistici" l'attenzione è invece rivolta massimamente ad altri temi come ad esempio quello dei diritti umani o delle libertà religiose.
In tal senso, estrapolando alcuni elementi prelevati da un documento pubblicato in attesa del Congresso dal Pastore Xu Xiaohong, Segretario del Comitato della Chiesa delle Tre Autonomie, ovvero la Chiesa Protestante cinese riconosciuta dalla Costituzione dello Stato, molti di questi operatori occidentali vi hanno visto una marcata tendenza non soltanto a rendere più omogeneo l'operato di tale istituzione in seno alla società cinese e quindi col resto delle sue storiche e molteplici tradizioni (un concetto troppo frettolosamente riassunto, da costoro, in "Sinizzazione", con un significato dispregiativo neanche troppo celato), ma anche una sua vera e propria ulteriore "Marxistizzazione" (dando oltretutto per facilmente assodato che "marxistizzata", oltre che "sinizzata", già lo fosse a prescindere in precedenza). Un altro elemento su cui poi puntualmente costoro puntano il dito è quello dell'annuale Conferenza Nazionale sulla Religione, che in Cina vede sempre la presenza gradita e richiesta delle massime autorità nazionali, da quelle governative a quelle delle varie religioni riconosciute e protette dallo Stato in Costituzione.
Se è vero che negli ultimi anni una maggior attenzione da parte della Chiesa delle Tre Autonomie è stata riposta verso il teologo Zhao Zichen, che per primo aveva sottolineato l'importanza di una maggiore integrazione delle comunità protestanti col resto della società cinese in modo da non confliggere coi suoi valori e le sue identità tradizionali, smussando quindi certi precedenti caratteri più estremi, è anche vero che nel frattempo lo stesso movimento protestante locale è profondamente mutato al pari del resto del paese in cui si muove. Riconosciuta e protetta dallo Stato, la Chiesa delle Tre Autonomie al pari delle sue omologhe cattolica ed ortodossa può dunque manifestare la propria fede cristiana evolvendola come del resto si è evoluta, sempre autonomamente, in ogni altro paese.
Questo perché ben pochi hanno dubbi sul fatto che la visione della propria religione sia rimasta la medesima di cinquanta o cento anni fa, a cominciare proprio dal loro paese: che ne pensano, in tal senso, gli italiani? Non possono certo dire che l'Italia di oggi sia uguale a quella di prima, e così anche le varie mentalità cambiate nel tempo fino anche alla visione stessa del cattolicesimo. Le religioni si evolvono ovvero si adattano nel tempo e nello spazio, ovvero in ogni epoca e in ogni luogo, al pari dei costumi, della morale, e così via. Di conseguenza chi in Occidente tende a guardare all'evoluzione e all'adattamento dei cristiani in Cina come ad una loro "fagocitazione" da parte delle autorità governative locali giudicate con troppe pregiudiziali come antireligiose anziché semplicemente laiche, probabilmente ha grosse difficoltà a capire proprio la differenza tra "laicità" (ovvero uno Stato laico che permette alle sue varie culture ed identità nazionali di convivere pacificamente insieme, in un clima di reciproco rispetto e con la garanzia fatta valere delle istituzioni di poter vivere le loro varie fedi ed appartenenze religiose) e "rimozione governativa coatta" dell'identità religiosa per sostituirlo con un vero e proprio deserto. Probabilmente questi operatori occidentali hanno una visione piuttosto estremista della religione anche in casa propria, ed in effetti a guardare le loro biografie pare proprio che vivano proiettati in una visione del cristianesimo, nel loro caso, ottocentesco se non addirittura medievale.
Dunque, che il mondo cristiano cinese diventi sempre più cinese ovvero sempre più integrato con la storia e la cultura del paese di cui è parte è cosa più che comprensibile, perché difficilmente potrebbe ancora essere quello dei primi predicatori inglesi, americani ed irlandesi, ed infatti non lo è. A quel tempo, nel periodo delle Guerre dell'Oppio e nei decenni successivi, quella prima manifestazione del cristianesimo protestante in Cina appariva decisamente come un corpo estraneo, una scheggia di Occidente anglosassone incuneato in una società e in un paese che oltretutto da allora hanno conosciuto a loro volta profondi cambiamenti: era infatti il periodo tra metà Ottocento e prima metà del Novecento, c'era l'Impero che disgregandosi lasciò il testimone alla prima Repubblica di Cina, in un più generale quadro di perdita dell'integrità statale e di cessioni territoriali a vari invasori non soltanto occidentali, nonché di continui e sanguinosi conflitti interni.
Forse gli operatori di casa nostra rimpiangono quel famoso "Secolo delle Umiliazioni"? Non è certamente questo il modo migliore per rendere credibili le loro osservazioni al pubblico cinese, ammesso e concesso che sia poi la loro intenzione; nessuno, in Cina, cominciando dai fedeli della Chiesa delle Tre Autonomie, rimpiangerebbe mai quel drammatico periodo della storia nazionale. E' invece più comprensibile che lo rimpiangano questi operatori occidentali che, da bravi lupi mascherati da agnelli, non hanno mai fatto mistero per chi davvero tifino.