Lo scorso agosto il Presidente cinese Xi Jinping ha premiato con un'onorificenza il giovane Liu Yanfu per il suo lavoro nella "deprogrammazione" degli ex adepti delle tante sette religiose che soprattutto a partire dagli Anni '90 hanno cominciato a fiorire nel vasto mondo cinese, rivelandosi non di rado pericolose per la salute dei loro membri come per la stabilità dell'ordine dell'ordine pubblico. Attivo soprattutto a Wuhai, nella Mongolia Interna, Liu Yanfu è ben presto divenuto un vero e proprio "motore" della locale sezione amministrativa che si dedica proprio a questo genere di problemi, maturando un'esperienza e un'abilità che l'hanno ben presto reso un punto di riferimento anche al di fuori dei confini locali. Basti pensare che nella sola regione ha tenuto almeno 1850 corsi ed eventi su questo argomento.
Per chi esce da una setta, o manifesta l'intenzione ad uscirne, esistono degli appositi centri, noti come Case di Assistenza, nei quali può ricevere tutta l'assistenza psicologica necessaria ad uscire da quel vero e proprio "tunnel". In molti casi sono persone ormai rovinate o comunque debilitate nel fisico e nella psiche da lunghi sfruttamenti ed abusi psicologici e materiali che le hanno allontanate dai loro familiari e dai loro vecchi amici e conoscenti. In altri, persone giunte in quei presidi per iniziare un'inevitabile percorso di riavviamento alla vita sociale e civile dopo essersi non soltanto isolati a causa di quel tipo di asservimento psicologico provocato dalla manipolazione settaria, ma aver persino causato azioni lesive contro di sé o il prossimo o tentato addirittura azioni terroristiche su spinta dei propri manipolatori. Seguirle è dunque un passaggio molto complesso e delicato, che prende il nome di "deprogrammazione".
Nel caso cinese, le sette maggiormente note e diffuse sono il Falun Gong, la Chiesa di Dio Onnipotente oppure l'Associazione dei Discepoli, ma non mancano anche molte altre sette meno conosciute o di cui comunque si parla meno; oltre ad altre più o meno note giunte dall'estero, da quelle sudcoreane come quella del Reverendo Moon a quelle americane come Scientology; fino ad altri movimenti settari che condiscono una visione fondamentalista di religione e politica come certi gruppi dediti al terrorismo e al separatismo nello Xinjiang o nella stessa Mongolia Interna, e così via. Il lavoro, dunque, si presenta come molto vasto ed impegnativo, e su tutti i fronti, per ogni "deprogrammatore".
Tra i primi a coniare il termine di "deprogrammazione", venendo a loro volta definiti "deprogrammatori", furono psicologi e professionisti di settore americani, che si muovevano in un paese in cui le sette religiose (ma anche non religiose, laddove l'oggetto del culto è costituito da altri temi ancora che spaziano dalla coltivazione del fisico all'arricchimento facile fino alle pratiche sessuali convenzionali e non) fiorivano di giorno in giorno, grazie anche ad una legislazione e ad una cultura sociale di fondo che ne favoriva ampiamente la nascita e l'operato. Furono anche i primi, intuibilmente, a subire il trattamento non sempre lusinghiero delle sette e dei loro seguaci più accaniti, che vedevano in costoro dei nemici naturali, e del pari di quanti di quelle sette ne peroravano la causa, appellandosi ad una più vaga e generalizzata idea di libertà di religione.
Per "trattamento non sempre lusinghiero" si intendono, naturalmente, non soltanto i semplici attacchi verbali o giudizi comunque negativi ma comunque pur sempre nell'alveo della legge, ma ancor più intimidazioni, minacce e persino attentati diretti alla loro persona, come ad esempio tentativi di aggressione, danni materiali e quant'altro. La lista di ciò che costoro hanno dovuto patire e continuano a patire tutt'oggi semplicemente per il voler svolgere il loro lavoro è semplicemente sconfortante, anche perché spesso aggravata pure dalla latitanza delle istituzioni che tanto in America quanto in Europa su tali temi hanno sempre preferito tenersi al largo e far finta di nulla. Chiaramente, quel comportamento così inerte delle istituzioni occidentali verso gli operatori "anti-sette" o "deprogrammatori" che dir si voglia è stato interpretato, talvolta anche a buon diritto, come un "invito a procedere" per le sette e i loro difensori, che così non hanno esitato a ripetere in più occasioni i loro attacchi a queste persone, contando sulla sostanziale impunità di cui tanto avrebbero poi goduto.
Può pertanto essere soltanto guardato con interesse e persino apprezzamento l'approccio invece seguito in Cina, dove tali operatori godono della fiducia e del riconoscimento delle istituzioni, che ne apprezzano l'insostituibile utilità ad affrontare queste nuove e complesse sfide sociali incarnate proprio dai vari movimenti religiosi e pseudoreligiosi che anche in Occidente creano crescenti problematiche sia individuali che collettive.