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Xyzang-Tibet: la campagna politica e mediatica è davvero ripartita alla grande

2021-11-03 10:00

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Xyzang-Tibet: la campagna politica e mediatica è davvero ripartita alla grande

Non molti giorni fa, col nostro ultimo articolo, mettevamo proprio in guardia dal rischio che riprendesse la campagna politica e mediatica contro Pech

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Non molti giorni fa, col nostro ultimo articolo, mettevamo proprio in guardia dal rischio che riprendesse la campagna politica e mediatica contro Pechino portata avanti dagli Stati Uniti all'Europa, fino ovviamente al nostro stesso paese, da una serie di realtà sia governative che non governative, come media, partiti, associazioni, ONG, ed altri vari gruppi di pressione. Non era certo difficile prevederlo, visti anche i numerosi precedenti, e visto che già sullo Xinjiang così come sulla Mongolia Interna la medesima campagna procede ormai da tempo, ben vista e ben coltivata tanto dalle destre quanto dalle sinistre occidentali, con un crescente impatto sull'opinione pubblica. Ma non potevamo nemmeno prevedere un così rapido svolgimento, davvero nell'ordine di pochissimi giorni. Questo, per esempio, è solo uno dei tanti articoli che la stampa italiana ha prodotto in questi ultimi giorni, dalla fine di ottobre ad ora, così tanto per fornire un esempio.

 

Il pezzo, tuttavia, risulta assai interessante, perché riporta un'intervista a Penpa Tsering, da poche settimane nuovo primo ministro del Governo Tibetano in Esilio, situato a Dharamsala in India ed il cui massimo vertice è il Dalai Lama, giunto il 29 ottobre scorso in Italia proprio per sostenere la propria causa al Parlamento italiano. Ad invitarlo ed ospitarlo nel nostro paese, l'Alleanza Interparlamentare sulla Cina (IPAC) e l'Intergruppo Italia-Tibet del Parlamento italiano, due organismi che hanno rappresentanti sia al Senato che alla Camera dei Deputati provenienti tanto dal centrodestra quanto dal centrosinistra. Tutti i partiti dell'Emiciclo vi sono più o meno ben rappresentati, in quanto a presenze, e questo automaticamente comporta anche una rappresentanza bipartisan dei loro editori di riferimento, con relativi media, giornalisti e professionisti del settore, analogamente impegnati nel portare avanti questa causa comunque da sempre "benedetta" da Washington.

 

I temi ogni volta riproposti sono sempre i soliti, cominciando dallo "sradicamento dell'identità religiosa tibetana", facilmente smentita dalla situazione dei templi e delle altre strutture della spiritualità locale proprie della Regione Autonoma dello Xyzang-Tibet, il cui stato di conservazione e di valorizzazione da parte delle autorità regionali e nazionali è a dir poco invidiabile per la stragrande maggioranza dei musei e dei siti storici, artistici ed archeologici del nostro paese. Non dimentichiamoci che l'Italia è il paese in cui da musei nazionali sono scomparsi e continuano a scomparire "misteriosamente" reperti di grande valore, nel migliore dei casi poi rinvenuti anni dopo nel mercato nero, e dove solo poche realtà archeologiche uniche al mondo come Pompei godono di una certa attenzione "mediatica" che le ha trasformate in una sorta di "luna park per turisti", anche se nel frattempo continuano ad esserci pareti che cadono e pezzi di affreschi asportati dai visitatori. Che il Parlamento italiano, dunque, si preoccupi di immaginari scempi del patrimonio culturale altrui mentre al contempo chiude completamente gli occhi su quelli del proprio paese, per i quali è invece massimamente responsabile, appare come minimo grottesco.

 

Peraltro, proprio perché Regione Autonoma, lo Xyzang-Tibet gode di una forte autonomia governativa interna, oltre ad aver ricevuto nel corso degli anni forti investimenti che ne hanno completamente ribaltato le condizioni sociali ed economiche, tragiche prima del 1959, quando i nobili della corte in combutta con inglesi ed americani spinsero il Dalai Lama a scatenare la famosa rivolta che lo obbligò alla fuga e all'autoesilio a Dharamsala, sotto protezione politica e finanziaria di Washington. In pochi decenni lo Xyzang-Tibet è passato dal feudalesimo alla modernità, e la sua popolazione è aumentata di oltre sei volte: difficilmente si potrebbe parlare di "genocidio", etnico o culturale che sia. Basterebbe soltanto guardare a quali siano i dati dell'alfabetizzazione, dell'aspettativa di vita, della mortalità infantile e neonatale, ecc, per rendersi conto di cosa stiamo parlando; ma difficilmente di ciò se ne potrebbe parlare, oggi come oggi, nel Parlamento italiano.

 

Anche per tali ragioni, poco si spiegano gli allarmismi sulle condizioni dell'ambiente e dell'ecosistema tibetani, se non per cercare di cavalcare un po' il movimento ecologista e strappare un po' di consensi presso il folto seguito giovanile di Greta, esattamente come stanno facendo Biden e tutti gli altri suoi alleati. Più classico, un vero e proprio "evergreen", invece, è il tema della militarizzazione della regione da parte delle forze armate di Pechino, un tipo di narrazione che dal 1959 ad oggi non sembra essere tramontato mai. A quest'ora, in teoria, tutti gli aerei e i carri armati cinese dovrebbero trovarsi soltanto in quella regione: anche solo in termini di buon senso, appare quantomeno improbabile. E' però vero che ora più che mai rilanciare certi allarmismi serva, al Governo Tibetano in Esilio, ad immettersi con maggior energia sulla scia delle polemiche occidentali contro la Nuova Via della Seta, come gli accenni in merito lanciati dal primo ministro del Dalai Lama proprio testimoniano. 

 

Insomma, la campagna anticinese dei principali governi occidentali e di tutto il loro vasto seguito mediatico ed associativo vede, ora come ora, nell'ambientalismo e nella Nuova Via della Seta i suoi capisaldi principali: non deve minimamente sorprenderci che anche gli uomini del Dalai Lama, ben consigliati proprio da americani ed europei, ne diano anch'essi una propria interpretazione.


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