
Come molti sapranno, varie e prestigiose sono le sedi che Roma può riservare a qualche importante evento, oltretutto col non trascurabile valore aggiuntivo spesso garantito da una certa centralità istituzionale. E' il caso per esempio del Palazzo del Campidoglio, sede del Comune di Roma, il cui sindaco è anche Sindaco d'Italia; ma ancor più di Palazzo Montecitorio, sede della Camera dei Deputati, e di Palazzo Madama, sede del Senato, tutti dotati d'ampi spazi riservati a conferenze, mostre ed altri eventi pubblici. Oltre a questi spazi, tanto centrali, non meno da disprezzare lo sono altri ancora, solitamente collocati in ambientazioni sempre di grande rilievo storico ed architettonico, magari d'ambito museale, ma forse un po' meno “apicali”. Vari sono i modi per guadagnarsi gli spazi di sedi tanto ambite, ad esempio facendone diretta richiesta e presentando il proprio progetto, o avvalendosi della disponibilità di qualche membro di quell'autorità od amministrazione: dai consiglieri comunali ai parlamentari, e così via. In genere quest'ultima è la strada più perseguita per la presentazione di un libro, di una commemorazione di qualche storica personalità politica, per un dibattito o altre iniziative del genere.
La conferenza tenutasi lo scorso 24 aprile al Senato, per esempio, è tra queste. Dedicata al rapporto tra Stato e religioni e alla collaborazione interconfessionale, e dedicata al “Rapporti Stato - Confessioni Religiose”, fa parte di un più vasto ciclo d'eventi in materia iniziato già dallo scorso marzo alla Camera dei Deputati. Nei prossimi mesi continuerà anche in altre città italiane, uscendo dalla “centralità” romana per portare il tema del proprio dibattito anche nel resto della Penisola. Varie associazioni vi prendono parte, tutte accomunate da un medesimo fine: perorare la necessità che lo Stato riveda il suo modo di gestire i rapporti con le varie confessioni religiose presenti nella società italiana, secondo il principio di garantire un maggior pluralismo confessionale. In nome del dovere costituzionale d'assicurare una maggior “inclusione”, tali associazioni coadiuvate da varie personalità del mondo accademico auspicano dunque l'approdo ad una società davvero pluralista in materia religiosa, dove anche molte fedi tuttora non riconosciute o tutelate dallo Stato possano finalmente godere di un tale trattamento. In termini astratti, su un piano teorico, in ciò non vi sarebbe assolutamente nulla di male, anzi; ma è sul piano pratico, invece, che sorgono i problemi.
In definitiva, è la stessa differenza che nel diritto si ha tra la forma e la sostanza. Ad esempio: “tutti i cittadini hanno diritto all'istruzione”. A livello di forma, è così: un diritto, qualunque sia, vale per tutti. Ma a livello di sostanza, c'è chi può accedervi o esercitarlo più facilmente di altri, che magari possono persino ritrovarsi pressoché del tutto impediti a farlo. E così viene a crearsi il discrimine tra chi non ha altra scelta rispetto alle scuole pubbliche, in Italia sempre più depotenziate e definanziate, e chi può invece permettersi quelle private, al contrario sempre più favorite e finanziate dallo Stato. La forbice negli anni successivi può farsi poi ancora più ampia, tra chi non potrà effettuare un percorso universitario, o tutt'al più dovrà accontentarsi di un'università di non proprio grande spessore, e chi invece potrà avvalersi dell'offerta accademica migliore. Non tutti, si capisce, possono vantare dalla propria parte il medesimo livello di benessere economico e sociale, e ciò si fa valere anche per tutti gli altri diritti, che si tratti di quello d'espressione, alla salute, alla casa, al lavoro e così via.
E' così anche in campo religioso: certe realtà confessionali hanno più possibilità di altre, perché magari sostenute da un ampio potere economico, o da sostegni politici, mediatici e così via. La sproporzione di forze che a quel punto possono mettere in campo a proprio favore, qualora la legge glielo conceda, può fare la differenza in termini di proselitismo o d'immagine pubblica. Ci ricordiamo com'era quando, anni fa, si parlava di “par condicio” nelle campagne elettorali? Partendo da nobili intenzioni ed opportunità, si finiva poi col ritrovarsi il partito più “danaroso” che si prendeva la maggior parte degli spazi per la propaganda elettorale, in TV e non solo.
Quali siano queste “realtà confessionali”, lo sappiamo bene. Ci sono movimenti religiosi, spesso e volentieri classificati come vere e proprie “sette”, che godono di un sostegno economico e politico in patria e all'estero tutt'altro che da sottovalutare. Pensiamo ad esempio ai vari gruppi della terza ondata del Protestantesimo, non solo evangelici sebbene sia oggi prassi piuttosto diffusa nel linguaggio corrente di classificarli tutti come tali: già dal solo Nord America godono di un supporto non indifferente, che ha infatti saputo farsi valere nel guadagnare sempre più proseliti in aree del mondo un tempo di solida preminenza cattolica. Il loro peso nella società e nella politica degli Stati in cui sono cresciuti, ad esempio in quelli latinoamericani, è nel tempo cresciuto parallelamente a quella dei loro capitali e fedeli, fino ad incarnare delle autentiche lobbies. Non possiamo dire diversamente per molti altri movimenti, non legati ad una matrice cristiana ma magari orientale, quando buddhista o induista o d'altro genere ancora, spesso presenti da anni nel nostro paese ma alla continua ricerca di nuove possibilità di crescita ed affermazione.
E che dire poi di altri movimenti settari ancora, come ad esempio Scientology, talvolta riuscita anche ad entrare in molti nostri plessi scolastici dietro la sua associazione civetta Narconon? Come si può ben vedere, un pluralismo astratto può far male che bene al rapporto tra Stato, società e fedi religiose nel nostro paese.