Nella seconda metà di maggio si terranno le elezioni europee, che vedranno milioni di cittadini dell’UE partecipare al rinnovo dell’Europarlamento di Bruxelles. Sono molte le aspettative e anche i timori in proposito: qualcuno ritiene che prevarranno le forze un tempo definite come "euroscettiche" ed oggi chiamate "populiste", mentre qualcun altro sostiene che in sostanza non cambierà granché, anche perché queste forze rimarranno divise fra loro, e che ciò consentirà la ripetizione di una grossa coalizione similare a quella uscente, magari nuovamente formata da PSE e PPE.
In tale situazione, il dibattito su quali rapporti intrattenere con la Cina acquisisce un sempre maggiore risvolto. Sappiamo che, in linea di massimo, tanto fra gli "europeisti" quanto fra i "populisti" la Cina non goda di una fama proprio eccelsa, per ragioni sempre riconducibili alla solita "sinofobia" che porta questi vari fronti politici, insieme alle personalità che li animano e popolano, a guardare con sospetto a varie vicende che spaziano dal Tibet allo Xinjiang, da Hong Kong fino in generale ai diritti umani, soprattutto in materia di trattamento verso certi "antagonisti" del governo di Pechino come anche una parte dei cattolici e delle sette religiose quali il Falun Dafa e la Chiesa di Dio Onnipotente. In generale, però, il vero problema è che la crescita dell’influenza e dell’importanza della Cina nel mondo spaventa tutte queste persone che, dagli anni passati fino ad oggi, hanno lavorato proprio per contrastarla, venendo magari anche discretamente sostenuti e persino stipendiati dalla controparte occidentale. La Nuova Via e la Nuova Rotta della Seta, per esempio, è l’ultima dimostrazione di quanto il colosso cinese sia oggi sempre più capace di proiettarsi verso il resto del mondo, coinvolgendolo nel suo progetto di cooperazione economica all’insegna di "un’unica comunità dai comuni destini". L’idea di una collaborazione "win-win" fra Cina e altri paesi bisognosi d’emergere e facenti parte del Terzo e Quarto Mondo è particolarmente sgradita alle élites occidentali, perché mette a nudo il loro sfruttamento su questi paesi, uno sfruttamento che fino ad oggi hanno potuto perpetrare senza venir disturbati da nessuno ma, al contrario, godendo persino del compiacente sostegno della superpotenza egemone dell’Occidente, ovvero gli USA.
Lo scorso 30 gennaio, per esempio, s’è svolto un seminario formato dagli eurodeputati tedeschi Jo Leinen, socialdemocratico facente parte del PSE, e Reinhard Butikoefer, dei Verdi, rispettivamente presidente e vicepresidente della Delegazione del Parlamento Europeo per le Relazioni con la Repubblica Popolare Cinese, che s’è svolto a Bruxelles presso il Palazzo Altiero Spinelli, con numerosi interventi di ormai consolidate figure della politica americana in Europa come Una Aleksandra Bērziņa-Čerenkova, del Latvian Institute of International Affairs di Riga; Alice Ekman, dell’Institut français des relations internationales di Parigi; Mikko Huotari, del Mercator Institute for China Studies di Berlino; Tamás Attila Matura, dell’Università Mattia Corvino di Budapest, in Ungheria; Plamen-Tilemachos Tonchev, dell’Institute of International Economic Relations in Athens; e Tim Nicholas Rühlig, dello Swedish Institute of International Affairs di Stoccolma. Ognuna di queste realtà, è ben noto, sponsorizza la NATO a gran voce, facendosi portatrice di forti messaggi non soltanto contro la Cina, ma soprattutto contro la Russia, che del resto con Pechino gode di buone relazioni di partenariato strategico e non solo, e che ha il grandissimo torto di non voler soggiacere ai "diktat" degli "euro-americani". Quest’ultimi, tanto per dirne una, a Mosca non hanno mai perdonato il modo in cui ha reagito di fronte a gravi minacce marchiate NATO come la guerra da parte della Georgia o il golpe in Ucraina, con tutte le conseguenze militari che ha comportato.
In occasione di questo seminario, i presenti hanno infatti convenuto su come sia economicamente rischioso, se non dannoso, avere rapporti commerciali con un partner infido e doppio, solito ad agire al di fuori dalla legge, a mentire e a soggiogare al di fuori della legge: questo, in definitiva, è l’identikit che è stato fatto della Cina. Un identikit di sicuro poco lusinghiero, ma al contempo anche notevolmente al di fuori dalla realtà: dopotutto, sono gli Stati Uniti che hanno dichiarato la guerra dei dazi anche all’UE, cominciando dalla Germania di cui fanno parte i due esponenti che hanno aperto questo seminario, e non certo la Cina, a cui gli stessi due anni fa hanno negato il riconoscimento dello status di "economia di mercato". E’ ben noto, presso chiunque abbia un minimo di conoscenza della situazione finanziaria internazionale, che il colpo dato dall’Amministrazione Trump ad un’economia fortemente dipendente dalle esportazioni come la Germania avrà effetti nefasti anche sul suo sistema economico, anche perché Deutsche Bank attualmente non naviga proprio in buone acque ed è piena di derivati e debiti che sono stati nascosti un po’ ovunque. Si ritiene, non a caso, che la prossima grande crisi finanziaria globale deriverà proprio da un’implosione di Deutsche Bank, esattamente come nel 2008 fu determinata dal tracollo di Lehmann Brothers. Eppure i due europarlamentari tedeschi non sembrano essere pienamente consapevoli di questi equilibri: o forse, preferiscono far finta di non accorgersene?
Insomma, non avendo altri argomenti da contrapporre alla Cina, alla fine fra gli ultimi irriducibili del "liberismo-liberalismo" o della "new left" in salsa clintoniana-obamiana (ma con gradite propaggine destro-repubblicane), si punta come al solito sulla tematica dei "diritti umani". Nel corso del seminario, per esempio, è intervenuto Ryan Barry che ha parlato di un milione di uyguri detenuti ingiustamente dal PCC a causa della politica di controllo sullo Xinjiang. Si tratta di un’altra figura che fa parte di tutto il giro, dato che in Germania gestisce il World Uyghur Congress con sede a Monaco di Baviera, un’istituzione in realtà a carattere molto personale, non diversa dal famoso Osservatorio sui Diritti Umani in Siria che ha sede in Inghilterra e che viene gestito da un siriano che probabilmente in quel paese non ha nemmeno mai messo piede (ma le cui dichiarazioni sui "crimini" di Assad vengono prese come oro colato da tutti i media e le cancellerie europee ed occidentali).
Insomma, l’impressione è che, con eventi "pseudo-culturali" del tutto autoreferenziali gli amici delle sette religiose o para-religiose bandite dal governo cinese cerchino in qualche modo di sensibilizzare le vecchie cariatidi della politica europea. Dal nostro punto di vista, forse dovrebbero provare a ripetere l’esperimento davanti a qualche fabbrica circondata dai lavoratori che fanno il presidio per non venire licenziati: chissà a quel punto come andrà.