Che quella di Hong Kong sia da sempre una questione molto delicata, e non soltanto per la Santa Sede, è certamente qualcosa di facilmente intuibile per ognuno di noi. Basti pensare, solo per dirne una, che la sede è rimasta vacante per anni, finché lo scorso mese non è stato nominato un nuovo vescovo, considerato sostanzialmente come una scelta di compromesso fra esponenti cattolici più favorevoli all'accordo fra Pechino e la Santa Sede ed altri che invece lo valutavano con maggiore contrarietà. Sostanzialmente si trattava di dover puntare su una figura vista come neutrale fra due opposte fazioni, da una parte quella più ostile a Papa Francesco e alla sua politica di apertura a Pechino e dall'altra quella che invece sostiene il Pontefice e che auspicava proprio un provvedimento in tale direzione.
La storia della diocesi di Hong Kong, d'altronde, è tutt'altro che facile a comprendersi per molta parte del pubblico occidentale, anche perché rappresenta soltanto un tassello di una materia ben più vasta e dettagliata come quella concernente il ruolo ed il significato che la stessa Hong Kong riveste tanto per la Madrepatria, a cui si è ricongiunta nel 1997, quanto per il mondo anglosassone, quindi sia l'Inghilterra che gli Stati Uniti, che l'ha direttamente controllata per più di un secolo. Non ci sono dunque soltanto i cattolici, a Hong Kong, e non c'è soltanto una diocesi legata a Roma ovvero alla Chiesa Cattolica Romana, ma ci sono anche tantissime altre realtà, religiose e non, legate ai tanti "mondi" con cui l'Isola con tutti i suoi territori limitrofi nel corso del tempo ha avuto a che fare.
Di certo la scelta del nuovo vescovo rappresentava di per sé una prova molto importante all'interno del dialogo fra Pechino e la Santa Sede, che dal 2018 sta ormai procedendo maturando di giorno in giorno nuovi progressi, ma al contempo aveva anche un altro importante significato, dal non minor peso diplomatico: ovvero, dimostrare il tipo di approccio che la Chiesa Cattolica Romana intende portare avanti in merito alle questioni interne ad Hong Kong, che in questi ultimi anni ha conosciuto tensioni interne alimentate dall'esterno, e di conseguenza anche allo stesso rapporto fra Hong Kong e la Madrepatria, su cui indubbiamente quelle stesse tensioni interne hanno fortemente pesato insieme alle gravi responsabilità di chi le ha provocate.
La scelta di Papa Francesco è stata all'insegna della diplomazia, tesa a rispettare le faccende interne di Hong Kong e di Pechino, a rimarcare una forte differenza rispetto a coloro che invece si sono finora comportati diversamente: ovvero non soltanto Londra e Washington, ma anche molti influenti settori e personaggi della stessa Chiesa Cattolica Romana. Pertanto, dopo due anni di sede vacante, ha puntato sulla figura di un Gesuita, Padre Stephen Chow Sau-yan, la cui nomina sulle prime è stata accolta con una certa sorpresa da molti osservatori e "insider" del mondo cattolico romano. Molti di costoro, d'altronde, pendevano fin troppo dalle labbra del Cardinale Joseph Zen, di cui già ci siamo occupati, esponente dell'area più oltranzista e conservatrice del Cattolicesimo, estremamente popolare fra gli atlantisti più accesi ed ostili al governo di Pechino a causa del suo esacerbato anticomunismo. Pertanto, fidandosi delle sue "imbeccate" ovvero dei suoi vari sfoghi, ritenevano pressoché certa la nomina di un altro candidato, il vicario generale della diocesi Peter Choy Wai-man.
Intuibilmente, una figura come Peter Choy Wai-man sarebbe risultata più vicina a Pechino, ma proprio per questo motivo la sua nomina avrebbe offerto ai detrattori di Papa Francesco e dell'accordo fra Cina e Santa Sede di scatenare, anche in modo immotivato ed esagerato, delle nuove polemiche e dietrologie tanto contro il Papa quanto contro l'accordo, come al solito in funzione anticinese, Sarebbe stato per costoro assai facile, e sempre in modo del tutto pretestuoso, parlare di una politca apertamente filocinese della Santa Sede e del Pontefice, e sfruttare pertanto queste nuove illazioni a favore della politica d'ingerenza di Londra e di Washington nelle questioni interne non soltanto di Hong Kong e della sua Madrepatria, ma anche della stessa Santa Sede e del Vaticano. Non dimentichiamoci che, da tempo, Papa Francesco denuncia direttamente ai fedeli di ritrovarsi sempre più isolato nelle proprie stanze, con continui complotti alle sue spalle. La tensione, anche dentro la Chiesa, si taglia dunque col coltello.
D'altro canto, il candidato gradito al Cardinale Zen e ai suoi sostenitori, ovvero il vescovo ausiliario Joseph Ha Chi-shing, sarebbe risultato a dir poco inopportuno come nuovo vescovo di Hong Kong, vista la sua chiara compromissione con le proteste interne fomentate dall'esterno a cui, al pari dello stesso Zen e di altri, ha tentato di dare una sua "legittimità ecclesiastica". La sua nomina sarebbe stata vista come una vittoria politica dal "partito di Zen" e soprattutto dall'asse Londra-Washington che a quel "partito" è ben più che legato. Per Londra e Washington, sostanzialmente, si sarebbe trattato né più e né meno di un forte passo avanti ottenuto nella loro politica d'ingerenza non soltanto negli affari interni di Hong Kong e della Cina, ma anche della Santa Sede e del Vaticano: col chiaro obiettivo futuro, va da sé, di poterlo sfruttare ancora meglio per poter vanificare in tempi brevi tutto il cauto e complesso lavoro diplomatico svolto finora fra Roma e Pechino.