Intorno alla metà di questo mese, in varie città italiane, i membri del Falun Gong si sono ritrovati in varie città italiane per commemorare il 22esimo anniversario dall'inizio della "persecuzione" della loro setta in Cina, paese nel quale venne fondata dal suo guru Li Hongzhi.
Chiaramente non di vera "persecuzione", come loro e Li Hongzhi sostengono, si tratta, ma bensì di una messa al bando dovuta a gravi e ripetuti fatti di cronaca che ne denotarono la pericolosità. Si pensi, solo per dirne una, all'autoimmolazione di un gruppo di suoi adepti in Piazza Tienanmen, che provocò la morte per ustione di altri mentre i sopravvissuti ne uscirono per sempre sfigurati.
Se a tanto può spingersi la manipolazione subita dalla setta a cui si appartiene e al guru che ne impartisce gli insegnamenti insieme ai suoi docenti, allora è più che dovuto metterla al bando e casomai c'è solo da pentirsi di non averlo fatto prima. In fondo, è quel che è avvenuto anche nel nostro Occidente, dagli Stati Uniti all'Europa, quando analoghe sette nostrane hanno compiuto azioni non meno dannose: da Synanon al Tempio Solare, da vari gruppi satanisti fino alle Porte del Paradiso, compresi anche tanti gruppi di preghiera che in seno alla Chiesa Cattolica si qualificavano come microsette vere e proprie, ci sono esempi per tutti i gusti.
Tuttavia, in Italia come nel resto dell'Occidente ben pochi conoscono la realtà riguardante il Falun Gong, e ciò permette a questa setta di origine cinese di poter diffondere la propria versione, chiaramente di parte, che la assolve da ogni colpa e responsabilità. Presentandosi immancabilmente ad ogni appuntamento pubblico come pratica benefica ed ingiustamente perseguitata dalle autorità cinesi, può non soltanto farsi pubblicità ma anche proficuamente sfruttare i diffusi pregiudizi anticinesi comuni ad un'importante quota dell'opinione pubblica italiana.
Le manifestazioni più oceaniche, ovviamente, si sono tenute all'estero: per esempio a Washington, secondo i media della setta come The Epoch Times, i partecipanti erano almeno 1500. A Roma invece, davanti all'Altare della Patria, i partecipanti erano ovviamente molto ma molto meno numerosi, ma tutti ben riconoscibili con le loro magliette gialle su cui è scritto "Falun Dafa is good" insieme allo slogan "Truthfulness - Benevolence - Forbearance".
Immancabile, ovviamente, il banchetto su cui firmare la petizione in sostegno del Falun Gong (o Falun Dafa, com'è altrimenti noto), dove subito dirigere quei passanti che trovandosi di fronte al piccolo presidio si fermassero incuriositi. Altrettanto immancabile anche il gazebo accanto al quale due membri del Falun Gong tenevano uno striscione che chiedeva lo stop al prelievo forzato degli organi dai detenuti appartenenti alla setta, pure questa un'altra narrazione più volte smentita ma che comunque continua ancora ad esser tranquillamente ripetuta, anche con interventi parlamentari.
A Roma gli aderenti al Falun Gong erano giunti da tutta Italia, e questo spiega il motivo per cui il loro numero era leggermente più alto rispetto all'appuntamento romano di maggio, in occasione della Giornata Mondiale del Falun Gong, che si era svolto unicamente con la presenza degli iscritti locali. Poche persone allora, ma non molte di più neppure questa volta: a riprova che, malgrado gli evidenti sforzi della setta di riprendersi la scena in Italia dopo anni di declino, di strada da fare ne dovrà percorrere ancora tanta.