Si sono da poco concluse le XXXII Olimpiadi, celebratesi a Tokyo con un anno di ritardo rispetto a quanto inizialmente programmato a causa della purtroppo nota pandemia da Covid. Ogni nazione ha dato il meglio di sé, all'insegna dello storico principio enunciato dal Barone Pierre de Coubertin, secondo cui "L'importante è partecipare", ma con tutto ciò come al solito non sono mancate polemiche e strumentalizzazioni.
Nella tensione internazionale alimentata in Occidente verso altri paesi come Cina o Russia (ma non solo, ovviamente), il risultato è stato quello di ritrovarsi inevitabilmente dinanzi a numerosi media ed esponenti politici, anche di grosso calibro, che si sono spinti a dichiarazioni certamente non degne del loro ruolo. Ciò, del resto, ha trovato una facile ed abbondante sponda anche in vasti settori dell'opinione pubblica, che non ha sempre manifestato un comportamento meno superficiale o comunque più realistico e costruttivo.
Se dovessimo elencare tutte le sciocchezze apparse anche soltanto nell'ambito dei social, ci dilungheremmo pure troppo, ma gli sfottò verso certi atleti o intere squadre, o certe "furbizie" nel voler nascondere o minimizzare i successi altrui, hanno testimoniato la grande difficoltà di molte persone ad accettare le sconfitte proprie o le vittorie altrui; e questo non è di certo un atteggiamento da persone mature. E' molto preoccupante quando lo si nota in molti comuni cittadini, ma è ancor peggio quando risulta tranquillamente diffuso, manifestato e quindi anche automaticamente "sdoganato" da personalità pubbliche, che godono di una visibilità e di un'influenza sociale, mediatica e politica ben superiore.
Per la prima volta nella storia delle Olimpiadi, si è voluto per esempio assommare tutte le medaglie insieme (ori, argenti o bronzi che fossero) pur di mettere in secondo piano chi aveva ottenuto più ori a vantaggio di chi riusciva a compensare numericamente con più argenti e bronzi. La cosa, in sé, potrebbe anche avere un senso, seguendo il principio per cui "le vittorie hanno tutte una pari dignità", che andrebbe a riecheggiare proprio il motto del Barone de Coubertin, sul fatto che sia più importante partecipare che vincere; ma introdotto solo nel quadro di una determinata "congiuntura internazionale", senza che peraltro si abbia il coraggio di ammetterlo, significa invece giocare proprio sporco.
Al di là comunque di queste ambiguità proprie del Comitato Olimpico Internazionale, sono state anche altre "infiocchettature", farina del sacco di tanti altri, a farsi a loro volta ulteriormente notare. La stampa europea e soprattutto americana, per esempio, se l'è presa con due atleti cinesi immortalati con all'occhiello un piccolo distintivo raffigurante il Presidente Mao. Tale indignazione, per quanto molto caricata per l'occasione visto che in altre situazioni del passato non si era di certo mai giunti a tali livelli di stigmatizzazione, si spiega solo col clima di rinnovato anticomunismo in salsa anticinese che da qualche anno a questa parte ha ripreso quota soprattutto negli Stati Uniti, andando automaticamente a diffondersi anche in Europa.
Non che sia una grande novità, se consideriamo che alle Olimpiadi di Londra del 2012, per esempio, la squadra siriana destò qualche mal di stomaco presso vari osservatori occidentali dal momento che ancora aveva la bandiera siriana espressione del governo laico di Assad, che costoro invece avevano previsto che per quell'occasione sarebbe ormai stata consegnata alla "spazzatura della storia" e sostituita da quella del governo dei "ribelli" sostenuti proprio dai paesi NATO oltre che da molti loro influenti alleati arabi. Vedere ancora la "bandiera di Assad", che del resto è tuttora quella ufficiale, per loro fu dunque un grave schiaffo morale.
Tornando invece alle Olimpiadi di Tokyo, data l'attualità della questione di Hong Kong, è stato poi inevitabile che molti media occidentali puntassero a dividere i risultati degli atleti della Cina continentale da quelli degli atleti di Hong Kong. Tant'è che per l'occasione c'è stato anche chi ha fatto girare in rete dei video "truccati" dove l'Inno Nazionale cinese veniva sostituito da quello vecchio e ormai decaduto, un tempo usato ad Hong Kong nell'epoca della dominazione coloniale britannica ed in parte anche per qualche anno successivo. Non contenti, si è persino insinuato che un atleta di Hong Kong avesse ricevuto forti critiche in patria per aver indossato una maglietta nera, che ricordava quelle utilizzate dai manifestanti nel corso del tentativo di "rivoluzione colorata" alimentato da Inghilterra e Stati Uniti. In realtà, non era avvenuto nulla del genere, dato che quella maglietta aveva una tale "livrea" per via degli sponsor che la caratterizzava.
Un'altra invenzione piuttosto curiosa, che si è cercato di far passare in molti media nostrani a carattere anti-Pechino, è stato quello per cui un'altra giovane atleta cinese, risultata vittoriosa nella sua disciplina, sarebbe stata definita dalla televisione ufficiale del paese come una "donna mascolina", cosa che immediatamente avrebbe suscitato le ire di molti telespettatori. Per non parlare ancora di un'altra atleta cinese, vincitrice nel lancio del peso e che secondo i nostri media sarebbe stata oggetto di scherno da parte di molti suoi concittadini, soprattutto nei social, a causa del suo aspetto fisico. Eppure, se andiamo a guardare un po' meglio, ci accorgiamo che invece sono stati proprio molti cittadini occidentali a bersagliare questa atleta con battutine decisamente di cattivo gusto. Il bello è che a farlo non erano soltanto uomini, ma anche donne: il che fa sorgere più di un dubbio sulla reale esistenza della tanto decantata "solidarietà femminile". Ma anche il cosiddetto "body shaming", che soprattutto qua in Occidente mettiamo sempre all'indice, a seconda delle convenienze non si esita invece a praticarlo anziché condannarlo; cosa che del resto si può tranquillamente dire anche per il razzismo...
Ad ogni modo tutte queste notizie raccontate alla rovescia, che sarebbe bene chiamare col loro reale nome di "fake news", provengono guardacaso sempre tutte dai canali mediatici del Falun Gong, ovvero la TV online New Tang Dinasty (NTD), il quotidiano sia cartaceo che online The Epoch Times e il magazine Vision Times, tutti con sedi in Australia, Stati Uniti ed Europa, ed offerti al pubblico in varie lingue, in modo da raggiungere più lettori possibile in tutto il mondo: dal cinese all'inglese, dal coreano al giapponese, dal francese al tedesco, dallo spagnolo all'italiano, ecc. Che dei giornali "mainstream", americani od europei che siano, che si considerano "seri" e "professionali", debbano far proprie le "fake news" di giornali discutibili appartenenti ad una setta come il Falun Gong, è tutto dire: è un fatto di una gravità tale da commentarsi da solo.
Tuttavia, tali notizie servono a trasmettere nel pubblico occidentale l'idea che vi sia un forte e crescente malcontento nella popolazione cinese verso il proprio governo, raffigurato non a caso come una "dittatura" che coltiva a conquistare il mondo. Poiché questo è anche il messaggio che, bene o male, viene fatto filtrare anche dal mondo politico occidentale (indipendentemente che si parli di conservatori o progressisti, di destra o di sinistra, ecc), non deve sorprendere che anche il mondo mediatico che ci va a braccetto faccia altrettanto, prendendo così ben volentieri spunto dalla "fantasia" dei media del Falun Gong o di altri gruppi settari che raccontano le stesse cose. Questo, però, dovrebbe preoccupare tutti noi, perché in Occidente la qualità dell'informazione ufficiale, che già gode di una scarsa reputazione, risulterà sempre più segnata dal fatto di veicolare sempre più tossiche ed irreali. Il caso delle Olimpiadi, in pratica, ne è stata solo una delle tante dimostrazioni.