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Riparte la campagna politica e mediatica dei Free Tibet?

2021-10-24 01:00

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Riparte la campagna politica e mediatica dei Free Tibet?

Il titolo di questo articolo, forse, potrebbe essere fuorviante, perché in realtà la campagna politica e mediatica "Free Tibet" contro Pechino, alimen

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Il titolo di questo articolo, forse, potrebbe essere fuorviante, perché in realtà la campagna politica e mediatica "Free Tibet" contro Pechino, alimentata in Occidente a suon di denaro copiosamente versato da tutte le parti, di associazioni e partiti, di giornali e testimonial di grido, in nome di un Tibet nuovamente indipendente dalla Cina e nuovamente governato dalla teocrazia feudale del Dalai Lama, non si è mai del tutto arrestata. Anzi, è di vecchia data, e dagli Anni '60 ad oggi raramente ha conosciuto delle vere e proprie battute d'arresto. Piuttosto, col tempo sono venuti fuori anche nuovi pretesti a cui aggrapparsi pur di dare addosso a Pechino a qualunque costo, a mano a mano che la Cina diventava sempre più rilevante sullo scenario mondiale e quindi anche "preoccupante" per coloro che da decenni sono abituati a dominarlo.

 

In effetti, fra Washington e Bruxelles, ancora non avevano finito di festeggiare la caduta del "campo socialista" e dell'Unione Sovietica, che già si ritrovavano a dover fare i conti col pensiero di un nuovo e temibile rivale all'orizzonte. E allora, quando le cose stan così, tocca di nuovo rimboccarsi le maniche e non soltanto andare avanti coi vecchi "cavalli di battaglia" ma, se ve ne è la possibilità, individuarne pure di nuovi. La fantasia non è mancata: non soltanto prosegue la campagna dei Free Tibet, scatenatasi fin dal 1959, ma in seguito si sono aggiunte anche le strumentalizzazioni su Piazza Tienanmen, sul Falun Gong, su altre sette religiose affermatesi successivamente, sullo Xinjiang, su Hong Kong, infine anche sul Covid e ora, per sovrabbondanza, anche sulla Mongolia Interna, in attesa di individuare pure qualcos'altro di nuovo. 

 

Insomma, il clima di montante tensione da parte dell'asse "euro-americano" verso la Cina non sembra promettere, almeno per il momento, particolari inversioni di tendenza o miglioramenti di sorta. Dunque, perché mai certe storiche "formule" come quella dei Free Tibet, ormai tanto fortunata quanto collaudata, dovrebbe esser lasciata cadere nel dimenticatoio? Ecco che allora si cercano nuove ragioni per darle linfa, in modo che continui a suscitare un richiamo sui suoi vecchi come nuovi o potenziali estimatori. Volevamo una dimostrazione? Per esempio, è proprio di questi giorni la notizia che nella Regione Autonoma dello Xyzang-Tibet, il nuovo segretario locale del PCC, ovvero la massima autorità politica, sarà Wang Junzheng, già inserito da Stati Uniti, Canada, Inghilterra e paesi dell'UE nella "lista nera" delle alte personalità cinesi sanzionate per le politiche di Pechino nello Xinjiang.

 

Secondo le solite fonti fantasiose, gli Stati Uniti accusavano Wang Junzheng di essere il creatore di "strutture paramilitari" del PCC che avrebbero "seminato il terrore" nello Xinjiang, fino all'organizzazione e gestione di "campi di rieducazione": insomma, qualcosa che in Europa ricorda molto da vicino le SS della Germania hitleriana, ed infatti non s'è nemmeno esitato, a quel punto, a parlare di "genocidio", un'altra parola che senza dubbio fa paura. Pertanto, sempre secondo loro, il suo arrivo nello Xyzang-Tibet come massima autorità locale non prometterebbe nulla di buono.

 

La notizia sarebbe certamente terribile, se solo fosse vera. Il problema è che la storia ci insegna molto bene quanto poco vere siano tutte le illazioni che finora sono state raccontate, non soltanto negli Stati Uniti, sul conto dei "nemici" di turno o comunque di chiunque venisse anche immotivatamente identificato come tale. Dalle "armi non convenzionali" di Saddam, con tanto di provetta esibita dal recentemente scomparso Colin Powell addirittura al Consiglio di Sicurezza ONU alle ugualmente fasulle accuse di utilizzo delle "armi chimiche" da parte di Assad sui "ribelli", e via discorrendo, è stato tutto un continuo festival del fantasy, alimentato tutto da "esperti" e "testimoni" il cui compito è proprio quello di produrre e provare prove che son tutto fuorché provate.

 

Del resto, se sono surreali le accuse rivolte a Wang Junzheng, altrettanto surreali sono quelle rivolte anche a Cheng Quanguo, che fra il 2011 e il 2016 fu segretario del PCC proprio nello Xyzang-Tibet per poi diventarlo nello Xinjiang. Guardacaso, sempre in quel periodo prese vigore in Occidente tutta la grande montatura delle persecuzioni nella regioni, oltre al "mito" del "Turkestan Orientale", e via discorrendo. L'accettazione acritica e supina, in Occidente, del "mito" della distruzione e del genocidio della regione, del popolo e della cultura tibetana, ha poi condotto con grande facilità ad accettare altrettanto acriticamente e supinamente lo stesso mito anche per quanto riguarda lo Xinjiang. Non deve dunque sorprenderci che adesso i due temi siano gestiti, dalla propaganda politica e mediatica occidentali, praticamente in totale e tetra sinergia.


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