La notizia, apparsa proprio pochi giorni fa, potrebbe apparire tendenzialmente positiva a molti di noi: chi non sarebbe favorevole, infatti, a tutelare la libertà religiosa e a favorire il dialogo interreligioso a casa propria così come nel resto del mondo? Il problema, però, è quando dietro a belle parole e nobili intenzioni si nascono invece ben altri scopi, assai meno limpidi e confessabili.
Quel che ha deciso la Commissione Esteri della Camera dei Deputati, infatti, non è proprio qualcosa di necessariamente positivo, considerando l'uso strumentale dei diritti umani (e, quindi, anche della libertà religiosa) che viene fatto dalle varie nazioni europee, dall'Unione Europea e dagli altri loro alleati, in particolare dell'area NATO come Stati Uniti ed Inghilterra. Sappiamo per esempio molto bene, anche soltanto dalla semplice e recente cronaca, come le preoccupazioni sui diritti umani "calpestati" vengano manifestate da tutte queste nazioni solo quando si tratta di parlare di paesi visti come nemici o comunque non assoggettabili alla loro sfera d'influenza: non è mai avvenuto che fosse un alleato a farne le spese, anche quando le ragioni umanitarie c'erano tutte, e pure in abbondanza.
Uno fra i movimenti religiosi che avevano maggiormente auspicato l'adozione di questa figura istituzionale da parte del nostro paese in Unione Europea era "Aiuto alla Chiesa che soffre" (ACS), mentre fra i promotori in Commissione figuravano i parlamentari Paolo Formentini, Maurizio Lupi e Andrea Delmastro delle Vedove. Alfredo Mantovano, presidente della sezione italiana di ACS, ha dichiarato che si tratta di una notizia "bellissima per quanti sono impegnati affinché la liberà di fede torni ad essere considerata una libertà di Serie A", mentre il direttore Alessandro Monteduro ha ribadito che "da troppo tempo, altre libertà ricevono un’attenzione costante attraverso campagne mediatiche martellanti, attenzioni che alla libertà religiosa vengono palesemente negate". Entrando poi maggiormente nello specifico, Monteduro ha precisato che "tutti i Report internazionali descrivono, da quello di ACS a quello elaborato dal Dipartimento di Stato USA, le violazioni alla libertà religiosa, che arrivano in diversi casi fino alla persecuzione cruenta, interessano almeno un terzo dei Paesi del Pianeta. In particolare interessano quelli più popolosi come Cina, India, Bangladesh, Pakistan e Nigeria".
Insomma, anche queste tutte cose di cui ci eravamo occupati in tempi ancora non sospetti: non appena i vertici della grande macchina occidentale dell'uso strumentale dei diritti umani premono il pulsante d'accensione, ecco che tutto il resto dei meccanismi non tardano a mettersi in moto. In merito alla Cina, lo sappiamo molto bene, tra i temi più caldi vi è certamente quello delle chiese cristiane locali, cominciando da quelle domestiche o "sotterranee", senza poi dimenticare vere e proprie sette come gli Shouters o la Chiesa di Dio Onnipotente, e tante altre ancora appartenenti alla vasta galassia cristiana (non mancano, comunque, anche tutte le altre, non cristiane, di cui comunque spesso ci occupiamo). Sono tutti temi su cui, chi ha voglia di speculare, in Occidente può lavorare e prosperare quanto vuole.
Ma poi vi sono anche tutte le altre aree più o meno calde, dalle repubbliche ex sovietiche (non solo la Russia, ma anche gli Stati del Caucaso, per esempio) all'America Latina, dal Corno d'Africa al Medio Oriente (Iran, ma anche Iraq, Siria, Libano e non solo). In occasione di una serie di viaggi che Papa Francesco compirà in molti di questi paesi (si parla, per esempio, anche di una possibile visita in Corea del Nord, alla quale la diplomazia vaticana sarebbe al lavoro fin dal 2018 in collaborazione con quella della Corea del Sud, traguardo ricordato nuovamente anche dal presidente sudcoreano Moon Jae-in in occasione della sua visita al Santo Padre lo scorso 29 ottobre), la carne al fuoco risulta conseguentemente parecchia per più di un addetto ai lavori. Non dimentichiamoci, infine, nemmeno il lavoro congiunto fra la Santa Sede e le istituzioni internazionali, in primo luogo l'ONU e le varie agenzie che vi dipendono, che a New York vedono un crescente intensificarsi del ruolo finora svolto dai vari organismi intergovernativi.
Insomma, indipendentemente dalla sua volontà la Santa Sede è in questo momento il principale oggetto delle attenzioni di chi, in Europa e un po' in tutto l'Occidente, ha trovato nella libertà religiosa la principale tematica dei diritti umani di cui occuparsi, purtroppo non sempre e non necessariamente col pregio della buonafede. L'ipotesi che certe "libertà diplomatiche" prese dalla diplomazia vaticana possano creare un "punto di non ritorno" contrario a ben precisi e determinati interessi politici crea sempre più, sulle due sponde dell'Atlantico, allarmismi fin troppo chiari.