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Cina: i cristiani e la storia del "Natale proibito"

2022-01-06 15:00

OS

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Cina: i cristiani e la storia del "Natale proibito"

In un Natale che anche in Italia e in altre parti di Europa è parso forse un po' più dimesso rispetto al solito a causa delle precauzioni imposte dal 

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In un Natale che anche in Italia e in altre parti di Europa è parso forse un po' più dimesso rispetto al solito a causa delle precauzioni imposte dal Covid (peraltro non ancora del tutto combattuto e superato, e lo stesso dicasi per la crisi economica già di per sé presente da anni ma che il suo apparire ha ulteriormente aggravato), probabilmente per molte persone poteva quasi apparire un sollievo pensare che in altre parti del mondo questa festività fosse ridotta ad un'occasione ancora più magra. Può apparire cinico, e lo sappiamo molto bene, ma psicologicamente ha un senso: ci si consola sempre pensando a chi sta un po' peggio di noi. E, se per caso non è vero, mal che vada lo si può sempre inventare.

 

Dopotutto, ci sono davvero luoghi del mondo dove la vita dei cristiani è resa ben difficile da quotidiane ed acclarate avversità. Un esempio abbastanza celebre è quello della Nigeria, ma anche di altri paesi africani dove la pressione del fondamentalismo islamico ha costretto le locali comunità cristiane ad una vita più riparata, o non di rado persino alla fuga. Lo stesso, del resto, si può dire anche per molte realtà mediorientali, dove ugualmente la vita dei cristiani ha conosciuto crescenti difficoltà a partire da alcuni anni a questa parte, a causa di sopraggiunte situazioni politiche e belliche certamente non frutto della volontà di quei popoli e di quei governi: si pensi alla Siria, o all'Iraq, o ancora alla Libia. E, per continuare, potremmo anche citare casi geograficamente a noi più vicini, come ad esempio il Kosovo, dove l'islamizzazione e l'albanesizzazione del territorio ha portato a sempre più gravi e palesi atti di discriminazione e di vera e propria pulizia etnica nei confronti delle minoranze slavo-ortodosse.

 

Insomma, se vogliamo, ci sono casi in abbondanza di cui occuparsi e per cui preoccuparsi; di lavoro da fare, per le varie autorità internazionali, occidentali e comunitarie, insomma, non ne manca; basta solo volerlo davvero. Lo stesso vale anche per molto del nostro mondo mediatico, associativo e giornalistico, che invece al pari delle varie istituzioni politiche di riferimento preferisce dedicarsi ad altro, ovvero a cose ben meno palpabili e pertanto anche assai più facili.

 

Ad esempio, si pensi alla questione del Natale in Cina, che secondo vari autori occidentali sarebbe stato addirittura proibito. La fonte ufficiale, rimpallata da un media ad un altro, sarebbe nientemeno che un documento venuto fuori da una regione autonoma del paese, il Guangxi, del resto in sé anche facilmente falsificabile. Tuttavia, in un'epoca in cui le notizie si diffondono soprattutto con facili ed istintive condivisioni sui social, anche una piccola bufala può metterci un attimo a diventare una "grande rivelazione". Le cause addotte da quanti hanno cercato, in nome della propria sinofobia militante, di spiegare il perché di tale "grande rivelazione", sarebbero quelle di una politica di feroce "sinizzazione" della popolazione locale, ovviamente in primo luogo a danno dei credenti cristiani; e per giunta con la complicità della locale Chiesa delle Tre Autonomie, che riunisce le varie confessioni protestanti presenti nel paese.

 

Ora, se andiamo a guardar bene, troviamo che il copione ha in sé un qualcosa di "già visto". Ed infatti è lo stesso che già decenni fa venne adottato per attaccare il governo cinese in merito alla questione della Regione Autonoma dello Xyzang-Tibet, pure in quel caso parlando di sinizzazioni forzate, di genocidio etnico e culturale locale, ecc. Oppure, in tempi a noi più recenti, per la Regione Autonoma dello Xinjiang, in questo caso non a danno dei buddisti tibetani ma dei musulmani soprattutto uyguri. E, infine, per giungere proprio agli ultimi mesi, alla Mongolia Interna, nuovamente con destinatari soprattutto i buddisti, ad Hong Kong e, ultima delle serie, i cristiani presenti soprattutto nelle zone più popolate del paese. Tutti fatti che, si badi bene, sono stati ripetutamente smentiti, con elementi fin troppo abbondanti, ma che si continua ugualmente a diffondere in modo imperterrito.

 

Per la precisione il documento citato da vari media proverrebbe dalla contea di Rongan, parte della Regione Autonoma del Guangxi-Zhuang e soggetta alla municipalità di Liuzhou. Si parla anche, tanto per aggravare i toni, di "documenti similari" provenienti anche da altre regioni e province, ma ovviamente senza citarli. Ma, se mancano le prove, allora che senso ha millantare? Limitarsi a vaghe "fonti confidenziali" è un po' come la storia del "me l'ha detto un mio amico che... ecc ecc". E' decisamente poco credibile.

 

Anche perché, piaccia o non piaccia ai detrattori impegnati nel diffondere simili "fake news", il Natale in Cina s'è festeggiato eccome. Cominciando da quelle che, anche solo per nostra semplice cultura generale, sono grandi città come ad esempio Hong Kong, Shangai o Macao, oppure Pechino e via discorrendo; per giungere infine a centri cittadini che magari secondo i canoni cinesi sono "medie città" ma che per noi italiani ed europei potrebbero tranquillamente essere classificate, anche solo per popolazione, come delle "capitali". Il paradosso è che molti di questi detrattori, in altri tempi, magari non avrebbero esitato a dire che la Cina è un "paese capitalista" e "consumista", mentre ora improvvisamente lo riscoprono "comunista" e "stalinista", persino "ateo" come l'Albania di Enver Hoxha. Evidentemente ragionare secondo convenienza, per tutte queste persone, paga.

 

 


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