Per molto tempo sostenuto come verità inconfutabile e fonte di legittimazione del nazionalismo e del separatismo ucraino durante la Seconda Guerra Mondiale, nel quadro dell'Operazione Barbarossa scatenata a partire dal 1941 dalla Germania contro l'Unione Sovietica, e ben accolto anche nel Dopoguerra tra le democrazie occidentali come utile strumento di demonizzazione verso il nemico sovietico, l'Holodomor noto anche “olocausto ucraino” incontrò tuttavia anche dei forti contrasti da parte di più seri ricercatori e storiografi. Partendo anche dalla stessa storiografia anglosassone, tradizionalmente vista come punto di riferimento nell'accuratezza e nella metodologia, non era certo difficile notare cospicue discrepanze o veri e propri dissidi nei confronti della narrazione dei reduci e degli esiliati, di stampo marcatamente ben più nostalgico e propagandista. Basterà farsi un giro in biblioteche online che raccolgono molti lavori accademici, come Academia.edu o Jstor.org per reperire tutta l'abbondanza di fonti che vogliamo, a tacer poi di tutte le altre ancor più facilmente accessibili.
Fin qui le differenze storiche tra accademia e politica. Ma guardando all'attualità, pare invece ben altra la situazione: complice l'intervento russo in Ucraina scattato nel marzo dello scorso anno, la narrazione ha decisamente invertito la propria rotta anche nel mondo accademico, dove comunque già da una decina d'anni i segnali verso tale direzione apparivano sempre più numerosi. I nuovi interpreti della storiografia, sia nel mondo anglosassone che nel resto dell'Occidente, hanno cominciato sempre più massicciamente ad andar disinvoltamente a braccetto con la narrazione di chi sembrava invece più dedito a far propaganda con chiari scopi politici. La vulgata revisionista che s'è sempre più rafforzata negli anni, a partire dal 2022 ha conosciuto un'ulteriore e prevedibile esplosione, con una tendenza alla crescita che tuttora appare ben lontana dall'indebolirsi.
Insomma, l'Holodomor è tornato ad essere un incontestabile mito, sebbene la storiografia l'avesse fortemente ridimensionato nei numeri e negli effetti, stabilito che non fosse perseguito dalle autorità sovietiche del tempo con deliberato intento genocida verso la popolazione, men che meno ucraina, e collocato nel più ampio quadro degli errori della collettivizzazione agricola che aveva infatti determinato le stesse conseguenze anche al di fuori della repubblica sovietica ucraina, come in quella russa e in quella kazaka. Quindi, non proprio quel piano tanto diabolico quanto machiavellico che secondo i revisionisti, apologeti del separatismo e del nazionalismo ucraini, Stalin e il suo governo avevano scientemente messo in atto per decimare una precisa popolazione della più vasta Unione Sovietica. Tuttavia ciò che è utile alla causa non può comunque essere abbandonato, checché ne dicano gli storici e i ricercatori più professionali, e dal 2014 a seguito del golpe di Piazza Majdan ed ancor più dal 2022 a seguito dell'intervento militare russo in Ucraina la causa per l'Occidente intero è diventata una ed indiscutibile: avvalersi di tutti gli strumenti possibili ed immaginabili per alimentare una propaganda russofoba e delegittimatoria nei confronti di Mosca e di chiunque, anche solo ricordando sommessamente la realtà dei fatti storici o contemporanei, non manifesti proprio una totale ed entusiasta adesione alla crociata della NATO contro la Russia, il suo governo e i suoi alleati (e, magari più avanti se non già ora, anche tutti i loro relativi popoli: non si sa mai).
Non meraviglia, dunque, che il mondo politico occidentale si sia messo a far del suo meglio per legittimare e sostenere questa sua nuova causa o “ragion di guerra” in tutte le sue principali istituzioni, dal Parlamento Europeo ai singoli parlamenti nazionali, compreso pure quello italiano, notizia quest'ultima assai recente. Del resto, queste mozioni hanno potuto contare su una maggioranza “bulgara” ovvero bipartisan: al Consiglio di Europa, organismo “pioniere” nel dar manforte a tutte le cause in odor di “interesse umanitario” o politico per l'Occidente, per la NATO e per gli alleati statunitensi, il riconoscimento era già arrivato in tempi non sospetti, nel 2010 (Risoluzione 1723). Comprensibili le reazioni della diplomazia russa, anche nel caso italiano, visto che fanno pur sempre parte di un botta e risposta politico ormai apertosi da ben prima di quel famoso 2014; meno visibili invece le reazioni da parte delle varie opinioni pubbliche europee, evidentemente distratte dai sempre più estesi problemi interni ai loro paesi, causati proprio dalle conseguenze di questa nuova guerra e delle relative sanzioni e controsanzioni, e soprattutto lontane dalle istituzioni dei loro paesi ed ancor più da quelle comunitarie. Non si possono biasimare, in effetti, i singoli popoli europei: quali concrete risposte hanno dato tutte queste governances ai loro crescenti problemi quotidiani, ancor più a partire proprio da quel disgraziato 2022?
Ben altra, invece, la reazione di quanti vi vedono per irrobustire le ragioni delle loro propagande, e non è infatti un caso che anche gli ambienti culturali ed accademici oggi più legati alle realtà settarie, talvolta divenuti persino loro conclamati difensori e non semplici adepti, abbiano subito espresso il massimo entusiasmo. Per tutti costoro, infatti, il riconoscimento da parte delle principali istituzioni occidentali del “genocidio ucraino”, anche in senso culturale e non soltanto etnico, costituisce infatti una comprensibile speranza pure per le loro cause, che del resto hanno finora conosciuto pure delle discrete fortune. Pensiamo ad esempio a quanti propagandano il mito, più volte smentito dai fatti e dalle verifiche non soltanto documentali ma da costoro comunque sempre puntualmente ribadito, del genocidio uiguro nello Xinjiang, col chiaro fine di sostenere il separatismo di un ipotetico Stato del Turkestan in salsa islamo-fondamentalista utile a separare la Cina dall'Asia Centrale e a condizionare pure la stabilità di quest'ultima. O a quanti propagandano invece il mito, anch'esso sempre smentito ma con tutto ciò anche sempre puntualmente raccontato in Occidente come se nulla fosse, del genocidio tibetano nello Xyzang ai fini di assecondare, pure in quel caso, la remota nascita di un Tibet secessionista e teocratico.
Non andrebbe dimenticato che gli ambienti confessionali più estremi erano risultati già molto utili in Occidente per creare divisioni e seminar zizzania in casa altrui, ad esempio sostentando i fondamentalisti islamici anche nei Balcani in modo da disgregare la Jugoslavia allora unita. L'operazione, come ci ricordiamo, allora andò molto bene per gli americani e i loro alleati, visto che riuscirono a dividere le sei repubbliche che componevano quello Stato attraverso una serie di conflitti etno-religiosi che lo insanguinarono per quasi tutti gli Anni ‘90, fino al definitivo coronamento con la secessione anche della regione del Kosovo dalla Serbia e la sua trasformazione in un “narco-Stato” nelle mani della NATO e di capi locali non proprio dei più raccomandabili. Tutto ciò avvenne nel cuore dell’Europa, in quella regione che ne era nota come la “polveriera” e alle porte dell'Unione Europea che nel frattempo cominciava a nascere tra i suoi Stati occidentali. I suoi frutti avvelenati sono ancora sparsi su tutto il territorio di quella regione, anche con nazionalismi e confessionalismi feroci a cui gli “europei d'Occidente” non sono tuttora abituati: e lo vediamo ora anche con l'Ucraina, o con analoghi fenomeni di etnonazionalismo in Polonia o nelle tre repubbliche baltiche, accolte in seno all'UE e sulla cui situazione interna i vertici UE glissano preferendo assecondare, in nome anche in quel caso di una “causa” avvertita come più importante: quella di continuare a sostentare in tutti i modi la russofobia, oggi per via dell'Ucraina e domani chissà per chi altro ancora.
Non è un caso che anche in Ucraina, infatti, anche la religione sia stata ampiamente strumentalizzata a fini politici e nazionalistici. Abbiamo visto, per esempio, come il governo ucraino in questi ultimi due anni abbia fortemente spinto per una “nazionalizzazione” di fatto della locale Chiesa Uniate greco-cattolica, intorno alla quale si riuniscono gli elementi più sciovinisti e militaristi del paese, ma anche per dividere la comunità ortodossa separando gli “ucraini etnici” dalla minoranza russa e russofona. Ciò ha indotto il governo ucraino, dopo che aveva già blindato la Chiesa Uniate, a provocare anche la separazione (autocefalia) della locale Chiesa Ortodossa, con la “nazionalizzazione” di quella operante sugli “ucraini etnici” e la messa al bando dell'altra, accusata di russofilia e collaborazionismo con Mosca. Qualcuno ha forse detto nulla nel democratico Occidente? Non risultano proteste sui giornali o nei dibattiti televisivi, peraltro pochi ed appiattati, e men che meno parlamentari europei o nazionali tanto dediti a presentar mozioni: in questo caso, intuibilmente, non era “funzionale” alla “causa” puntare l'indice su simili distorsioni della democrazia ed abusi dei diritti umani, in primis quello tanto caro anche ai “pro-sette” di “libertà religiosa”. Eppure tutti costoro non hanno avuto alcun problema, in altri momenti, a perorare la causa a loro dire sacrosanta di Scientology o della Società Teosofica in Russia, e tanti altri esempi che abbiamo illustrato negli articoli passati; o a perorare la causa del Falun Gong, degli islamo-fondamentalisti e separatisti nello Xinjiang o dei nazionalisti lamaisti dello Xyzang-Tibet, o ancora quella della Chiesa di Dio Onnipotente e di tanti altri pericolosi movimenti consimili in Cina. Evidentemente, quelli erano “politicamente funzionali” alla “causa”.