Secondo una tradizione che nel tempo va positivamente irrobustendosi, ben pochi giornali italiani sono ormai rimasti a parlare di Shen Yun, men che meno in tono elogiativo. A farlo, praticamente, è rimasto The Epoch Times (per ovvie ragioni, dato che appartiene agli stessi proprietari del "corpo artistico" Shen Yun, ovvero la setta Falun Gong) insieme a qualche altra piccola testata online che acriticamente ne ripubblica il comunicato senza verificarlo in precedenza: tutti media che, in ogni caso, ben di rado durano più qualche anno. In compenso, però, aumentano le testate online, oltretutto ormai di consolidata fama e caratterizzate sempre da alti numeri di letture, che invece di Shen Yun (e della setta Falun Gong, così come del suo giornale The Epoch Times) ne parlano sempre più male; e questo è certamente positivo, perché fornisce a potenziali spettatori e abituali frequentatori dei teatri un utile ragguaglio ad evitare la visione di siffatti "spettacoli".
Ogni anno nel periodo a cavallo tra primavera ed estate Shen Yun tiene nel nostro paese i suoi spettacoli, cercando di coprire grossomodo un po' tutta la Penisola, dal Nord al Centro al Sud. In principio non aveva mancato di esibirsi anche in spettacoli di grande fama e centralità delle principali città italiane, ma in seguito a causa del sostanziale fiasco riscosso dai suoi spettacoli (in primo luogo il numero di presenze non adeguato alla stagione di quei teatri, con costi a quel punto non più convenienti né per la struttura né per il corpo artistico stesso, che alla fine non si vede rinnovare la presenza in quel teatro per la stagione dell'anno successivo) ha finito col ripiegare su teatri "secondari", quanto bastava comunque a preservare una presenza in quegli importanti capoluoghi. Anche il numero degli spettacoli e delle relative città che li ospitano, rispetto ai primi anni, è a sua volta inevitabilmente calato.
Insomma, per farla breve: proprio pochi giorni fa il noto quotidiano online Il Post ha pubblicato un corposo e ben fatto articolo dove, commentando il "fenomeno" Shen Yun, mette in guardia i lettori dall'andarne a vedere gli spettacoli, spiegando l'imbarazzante macchinazione che si annida dietro alla sua apparente immagine di una versione cinese del famoso Cirque du Soleil. Parlando dei teatri che ancora ospiteranno gli spettacoli di Shen Yun, si hanno nomi come il Massimo di Palermo, il Regio di Parma e il Verdi di Firenze almeno per quanto riguarda i più antichi e famosi; mentre al Teatro degli Arcimboldi di Milano, complice una platea dalle dimensioni più contenute oltretutto rapportata ad una città ben più vasta e popolosa delle altre, i posti risultano già tutti esauriti. In questo caso, però, siamo piuttosto lontani dalla "centralità" di un grande teatro come il Teatro La Scala, dove intuibilmente l'apparizione Shen Yun, malgrado l'altisonante titolo con cui suole presentarsi al pubblico ("La Cina prima del Comunismo"), rischierebbe di apparire al pubblico e ai critici in sala come una vera e propria "profanazione", coi suoi attori ed artisti guardati come una bestia rara.
La Shen Yun Performing Arts, come spiegato dall'autore dell'articolo, è stata fondata nel 2006 a New York da personalità appartenenti al Falun Gong e oggi, potendo disporre di sei diverse compagnie, tiene spettacoli in cento diverse città del mondo affermando di raggiungere ogni anno un milione di spettatori. Sempre a New York, del resto, hanno sede i "quartier generali" del Falun Gong e il suo giornale The Epoch Times; e, soprattutto, proprio là vive sempre più ricco, potente ed indisturbato il Signor Li Hongzhi, ovvero il guru fondatore della setta e di tutte le sue diramazioni, a capo di un vero e proprio impero "religioso", mediatico ed economico. Ognuna delle sei compagnie riesce a mettere sul campo una cinquantina di ballerini accompagnati da ottanta musicisti, tra i quali alcuni anche con strumenti musicali della tradizione cinese, per fornire al pubblico quelli che secondo Li Hongzhi e i suoi sarebbero degli "spettacoli di danza tradizionale cinese". Ma occhio alla truffa, perché nel corso delle circa due ore di spettacolo agli ignari spettatori che in buona fede credevano di assistere a delle esibizioni di danza tradizionale vengono invece fatti piovere addosso continui slogan che invocano alla bontà e all'immensità delle pratiche spirituali del Falun Gong, insieme ad altrettanto continui slogan che demonizzano la Cina odierna, il suo governo, il PCC ed il Comunismo.
Come spiegato nell'articolo, gli spettacoli tendono ormai a ricalcare da anni sempre il solito canovaccio, con minime variazioni a seconda della compagnia che li tiene e del paese in cui si esibisce. Si compongono di venti atti minori dove le ballerine danzano in grandi abiti tradizionali colorati ed agitando spesso lunghe fasce di tessuto, mentre i ballerini le accompagnano compiendo evoluzioni acrobatiche. Ogni tanto compare anche qualche episodio recitato, ripreso dalla lirica o dalla letteratura classica cinesi. Non mancano i messaggi, quando subliminali e quando manifesti, di aperta e palese propaganda, trasmessi da un immancabile maxischermo sullo sfondo del palco con tutto un succedersi d'immagini che alludono alle presunte "persecuzioni" inflitte dal governo cinese al Falun Gong e alla sua distruzione della cultura tradizionale nazionale; volti e simboli politici vengono così a loro volta opportunamente mandati in onda mentre due attori nel frattempo declamano tutta questa drammatica narrazione. Nulla è lasciato al caso, ed infatti ci sono anche slogan che incitano al razzismo e alla xenofobia, o che invocano a tesi antiscientifiche, tutti elementi peraltro cospicuamente presenti nei precetti impartiti negli anni dal "Maestro" Li Hongzhi; o ancora scene recitate, dove l'incanto dei "bei tempi andati" viene improvvisamente spezzato da attori che recitano il ruolo di spietate guardie governative, sempre con l'intenzione di veicolare nello spettatore la contrapposizione tra la "bontà" del Falun Gong, custode della "autentica cultura cinese tradizionale" e la "ferocia" degli attuali governanti cinesi.
L'articolo continua nominando la Onlus che in Italia gestisce le apparizioni teatrali di Shen Yun nei vari teatri della Penisola. Delinea poi le attività di Shen Yun e del Falun Gong negli Stati Uniti, dove ormai da tempo ha trovato sede e riparo, ed infine cita alcuni importanti giornalisti americani che autorevolmente ne mettono a nudo proprio la xenofobia, l'omofobia, il complottismo antiscientifico coi legami creatisi col movimento QAnon, e che ne smentiscono le menzogne sul prelievo forzato degli organi ai prigionieri su cui ha basato molta della sua pubblicità in Occidente, Italia compresa. Indubbiamente una buona lettura, di riconoscibile professionalità.