
Più volte abbiamo parlato del 25 aprile 1999 e di cosa significò per il Falun Gong: i nostri lettori più fedeli ne avranno certamente memoria dai tanti articoli sin qui pubblicati, come ad esempio questo apparso lo scorso anno in occasione di tale ricorrenza. Volendo fare un rapido riassunto, fu il momento in cui la setta, per espressa volontà del suo fondatore e guru Li Hongzhi, decise di “superare la linea rossa” con le autorità cinesi tenendo un'enorme concentrazione nel quartiere governativo di Zhongnanhai a Pechino, volta a reclamare la liberazione di numerosi suoi adepti fermati nelle settimane precedenti per una serie di gravi violazioni dell'ordine pubblico.
La più importante tra queste era avvenuta proprio l'11 luglio, quando circa cinquemila adepti della setta avevano circondato la locale Università col chiaro intento d'invaderla e metterla a ferro fuoco: il motivo, una pubblicazione scientifica che esponeva i rischi incarnati dalla disciplina propagandata da Li Hongzhi, ed apparsa proprio quel giorno. Sebbene i revisionisti della storia del Falun Gong, dediti a costruirle intorno un alibi di santità e d'immotivata persecuzione, oggi affermino che quei cinquemila adepti non avessero intenzioni ostili, la situazione era in realtà molto più grave e le forze di polizia dovettero intervenire prima che fosse troppo tardi: il risultato, a testimonianza anche della mano morbida che comunque ebbero, fu di soli 45 arresti. Ad ordinare quella minacciosa incursione era stato Li Hongzhi, anche perché altrimenti ben difficilmente i suoi adepti avrebbero potuto sapere dell'avvenuta pubblicazione di un documento accademico destinato ad un limitato pubblico di persone.
Così fu anche il successivo 25 luglio, quando i manifestanti furono come già dicevamo almeno diecimila, non meno minacciosi e tutti concentrati in un'area centrale della Capitale, luogo simbolo e sede di molte delle più rilevanti autorità statali. Il primo ministro d'allora, Zhou Rongji, cercò di portare avanti una linea diplomatica e costruttiva coi manifestanti, onde smussarne gli intenti più bellicosi, con l'auspicio che ciò bastasse a ricondurli alla ragione. La tensione restò comunque altissima, mettendo ancor più in luce la natura eversiva del movimento guidato da Li Hongzhi, che almeno fin dal 1995 mirava a colpire sempre più alto, ingaggiando ad ogni colpo un confronto sempre più duro con le autorità del suo paese. Ciò affrettò le inchieste e il relativo iter di legge che portò alla messa al bando della setta il successivo 20 luglio, altra data che non a caso gli adepti del Falun Gong ricordano ogni anno insieme al 25 aprile come prova della loro “immotivata persecuzione”. Meno di due anni dopo, il 23 gennaio 2001, quando alcuni adepti del Falun Gong si diedero fuoco in Piazza Tienanmen a Pechino, davanti alla Città Proibita, la setta avrebbe rivelato ancor più e agli occhi del mondo intero la sua reale natura e quanto pericolosi potessero essere i suoi insegnamenti.
In Italia invece il 25 aprile è associato a tutt'altra data, al 25 aprile 1945 in cui finalmente terminò la lunga e sofferta tragedia della Seconda Guerra Mondiale. Quel giorno, il 25 aprile 1945, finì anche la lunga guerra civile che insanguinava la nostra Penisola, fino a quel momento divisa tra il Regno del Sud e gli Alleati nel centro-sud e la Repubblica Sociale Italiana (RSI) e le truppe tedesche al centro-nord. La caduta della RSI guidata da Benito Mussolini e la resa delle forze armate tedesche che la sostenevano significò anche la fine della dolorosa occupazione nazifascista che il nostro paese scontava dall'8 settembre 1943. E' un anniversario che certamente continua ancora, dopo ottant'anni, a dividere e far discutere molti italiani, ma proprio per questo si può capire quanto sia sentito: ben difficilmente, dunque, i nostri concittadini prenderebbero in considerazione altri 25 aprile, per così dire “alternativi”, come ad esempio quello del Falun Gong.
E infatti le manifestazioni di commemorazione che i sempre più sparuti e scoraggiati adepti italiani del Falun Gong hanno tenuto tra Firenze, Milano, Cagliari e Padova, sono apparse quest'anno persino più sottotono del solito. Basti pensare che, contrariamente al solito, nemmeno le edizioni in italiano dei loro vari media, da Minghui ad Epoch Times, hanno osato parlarne, preferendo concentrarsi su altri avvenimenti tenutisi all'estero, come i consueti e più popolati appuntamenti d'Oltreoceano. Vantarsi d'aver tenuto i soliti gazebo con non più di quattro o cinque adepti in tutto, in effetti, non fa fare una bella figura: anche in termini di marketing, rischia d'apparire controproducente per la propria immagine, contribuendo ad irrobustire nell'opinione pubblica la fama di setta declinante e “sfigata”. Probabilmente è proprio ciò a cui, dinanzi ai risultati dello scorso 25 aprile, i militanti italiani del Falun Gong hanno pensato optando per un saggio e pietoso “silenzio stampa”.